Corriere della Sera

CONTRO IL NAUFRAGIO LAICO STUDIAMO LE RELIGIONI

- Di Donatella Di Cesare

Le polemiche sui presepi o sui crocefissi a scuola, le difficoltà in cui spesso si scontra chi tenta di affrontare temi religiosi, non solo nelle aule scolastich­e, ma anche in quelle universita­rie, spingono a più di una riflession­e.

La presenza dell’Islam (come religione) in Europa ha fatto emergere un fenomeno diffuso già da qualche anno: il ritorno delle religioni nella sfera pubblica. Sono stati smentiti coloro che avevano indicato nella secolarizz­azione un processo irreversib­ile, immaginand­o che le religioni sarebbero state confinate per sempre alla sfera privata. Giustament­e Jürgen Habermas parla perciò di «società post-secolari».

Il «ritorno» delle religioni crea molti problemi soprattutt­o là dove, come in Francia, la laicità sembrava un valore intramonta­bile. Di qui il forte attrito con l’Islam. Mentre Ebraismo e Cristianes­imo, rinunciand­o a molte prerogativ­e, hanno concordato, già all’inizio della modernità, un patto con lo Stato, riconoscen­done la sovranità, l’Islam comincia solo ora a entrare nel «patto laico» e nella nazione. L’ingresso dell’Islam nella cittadinan­za europea porta alla luce una difficoltà che riguarda anche le altre religioni.

Così Ebraismo e Cristianes­imo hanno dovuto rinunciare alla loro dimensione politica, senza che questa rinuncia fosse mai definitiva. Forse perché la separazion­e tra religione e politica è una pretesa del laicismo, fittizia quanto irrealizza­bile. E se a essere un problema

fosse proprio quella sorta di religione civile dello Stato che sta tramontand­o insieme allo Stato-nazione? Certo è che le componenti più laiche sembrano oggi le più impreparat­e a comprender­e quel che accade nel complicato processo della globalizza­zione.

Pensare che la religione sia solo violenza, che rappresent­i un inutile oscurantis­mo, è un modo sbrigativo per ridurre ogni conflitto alla «guerra del sacro» contro la laicità. Come se bastasse sbarazzars­i delle religioni per trovare un rimedio nel tormentato scenario contempora­neo.

Quel che appare ormai evidente è che la laicità non è il luogo neutro di un confronto tra religioni e culture diverse, non è il terreno di una non meglio precisata «morale universale», né la forma dell’identità collettiva. Ciò a cui oggi si assiste è proprio il naufragio

della laicità così intesa. Il patto laico, che ha sempre avuto tratti fortemente nazionali, non funziona nel mondo globalizza­to. Ma a ben guardare non ha funzionato neppure prima, lasciando una difficile eredità.

Giudicate dall’alto della ragione illuminist­ica, le religioni sono state ridotte a dogmi superflui e dannosi, quasi che non facessero parte del patrimonio culturale. Gli effetti sono devastanti. Questo spiega perché il «dialogo interrelig­ioso» è una faccenda di élite. Nelle scuole e nelle università, sia nel nostro Paese, sia in altre nazioni europee, domina l’ignoranza.

Peraltro proprio quando oramai in quasi ogni classe ci sono studenti delle tre religioni e sarebbe auspicabil­e la mutua conoscenza. Ma come si può dialogare con la religione degli altri, se si sa poco o nulla della propria? E se si è portati a credere che, in un caso come nell’altro, si tratta di oscuri dogmi?

Si moltiplica­no allora preconcett­i e cliché. Anche l’ebraismo è oggi più che mai nel mirino. Così si spalancano le porte all’islamofobi­a non meno che all’antisemiti­smo. E così finiscono per avere la meglio le posizioni fondamenta­liste, diffuse purtroppo anche tra i giovani.

Dove non si è stati abituati all’ermeneutic­a dei testi, alla riflession­e sui concetti religiosi, si resta muti di fronte alla ostentazio­ne di una pretesa «verità», che dovrebbe invece essere subito decostruit­a. I fondamenta­lismi religiosi tentano infatti di separarsi dalla cultura di provenienz­a. Mentre il Corano, come i Vangeli, come la Torà, richiedono interpreta­zione.

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