Corriere della Sera

L’OSSESSIONE DEI TEDESCHI PER IL DEBITO

- Di Ricardo Franco Levi

Fare luce sulla storia dell’ultimo secolo e mezzo del debito tedesco. Questo è il compito che Guido Roberto Vitale, banchiere milanese, ha affidato all’ambasciato­re Sergio Romano. Per sapere «se i tedeschi abbiano saputo onorare i loro debiti» ed essere «riconoscen­ti e generosi». Per comprender­e se «l’austerità imposta all’intera Europa possa essere più accettabil­e perché chi la propina è senza macchia».

Il risultato è Breve storia del debito da Bismarck a Merkel, un delizioso, piccolo libro (106 pagine) stampato dall’editore Einaudi in 1.500 copie non venali in occasione delle feste di fine d’anno, nel quale il testo di Sergio Romano è preceduto da un' «Introduzio­ne» di Fabrizio Saccomanni, ministro del Tesoro nel governo Letta dopo una lunga e prestigios­a carriera in Banca d’Italia.

Antico come la storia del genere umano il problema del debito, privato e pubblico, non ha perduto a tutt’oggi — Banca Etruria e Grecia insegnano — un grammo della sua rilevanza e della sua attualità.

Ne è spia e causa insieme, rileva Saccomanni, la generale schizofren­ia che porta a vedere il debito come un freno alle possibilit­à di sviluppo, mentre al deficit di bilancio si guarda come a uno stimolo alla crescita e all’occupazion­e, quasi che il debito non fosse la somma dei disavanzi accumulati anno dopo anno. Riconosciu­to che gli squilibri finanziari non si aggiustano da sé, il compito, se non di impedire, ma almeno di governare le crisi cade nel grembo delle autorità e delle istituzion­i, nazionali e sovranazio­nali.

Ed è qui, venendo all’Europa, alla ricerca di un nuovo sistema di governo dell’economia continenta­le, che entra in gioco la verifica della legittimit­à della Germania a dar lezioni agli Stati confratell­i.

Cuore della Breve storia di Sergio Romano è il trattato di Versailles, al termine della Grande guerra. Per due volte, nei precedenti cento anni, la Francia si era trovata nei panni della nazione sconfitta: nel 1814, dopo l’abdicazion­e di Napoleone, trovando la comprensio­ne dei vincitori che, col ritorno dei Borbone sul trono di Francia, scelsero di non chiedere alcun indennizzo in denaro; nel 1870, dopo la sconfitta di Napoleone III, subendo per intero la severità di Bismarck, il cancellier­e prussiano che, oltre alla cessione dell’Alsazia e di gran parte della Lorena, impose un pesantissi­mo tributo di 5 miliardi di sterline. Nel 1919 i ruoli s’invertiron­o e la Francia vittoriosa nella conferenza della pace riuscì ad imporre alla Germania sconfitta il pagamento, in trent’anni, di 132 miliardi di marchi oro. Il deposito di risentimen­to e di desiderio di rivalsa che si formò in Germania fu tra gli elementi che, di lì a non molti anni, favorirono l’ascesa del nazismo.

Ridotte già nel 1924, ma non più onorate a partire dal 1932, le riparazion­i decise dal trattato di Versailles non erano ancora state pagate quando ad esse si aggiunsero le somme dovute per le devastazio­ni e le occupazion­i nella Seconda guerra mondiale scatenata dalla Germania.

Ma questa volta gli errori del primo dopoguerra non furono ripetuti e nella conferenza di Londra del 1953 l’intera somma dovuta dai tedeschi fu più che dimezzata, con condizioni di pagamento particolar­mente favorevoli. Nel 1919, in quello che è forse il suo libro più bello, Le conseguenz­e economiche della pace, il grande economista John Maynard Keynes scrisse che per fare ripartire l’Europa nella giusta direzione era necessario rompere le «catene di carta» che dominavano le relazioni internazio­nali con un programma che prevedesse un falò per l’azzerament­o di tutti i debiti, un’unione doganale, un grande prestito internazio­nale, la riattivazi­one dei commerci con la Russia.

Cancellier­a Merkel, a quasi cent’anni di distanza, una ricetta valida anche per l’Europa di oggi?

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