Corriere della Sera

L’URANIO DI SADDAM LE ARMI CHE NON C’ERANO

- Sergio Romano

Nella risposta al lettore che si domandava chi mai avesse voluto nel 2003 la guerra in Iraq, visto che oggi paiono tutti giudicarla un errore, lei non ha menzionato, a proposito delle intenzioni dell’allora Primo ministro Berlusconi, lo scandalo del falso dossier, datato 2001, sulla vendita di uranio all’Iraq da parte del Niger, confeziona­to a Roma, con la probabile partecipaz­ione di qualche diplomatic­o minore del Niger e quella certa del Sismi, ancora non è chiaro se in qualità di sprovvedut­o intermedia­rio o artefice consapevol­e. Vi è stato chi, nel Sismi, ha sostenuto la seconda ipotesi, arrivando ad affermare che dietro l’operazione vi fosse un’indicazion­e politica, finalizzat­a a dare copertura alla tesi americana che Hussein avesse armi nucleari. Inoltre, sempre secondo alcune fonti Sismi, citate dai media nel 2003, sarebbe stato il premier italiano, in una conversazi­one telefonica, a confermare a George W. Bush l’esistenza del «dossier uranio» e soprattutt­o la sua fondatezza. Questo nonostante nel frattempo — ovvero tra la comparsa del dossier e le conversazi­oni tra Berlusconi e Bush — i documenti fossero stati analizzati e ritenuti falsi da diversi soggetti, inclusa l’Agenzia internazio­nale per l’Energia atomica, e il nostro ministero degli Esteri. Perché non ha fatto cenno a queste vicende?

Diana Nastasi diana.nastasi@alice.it

Cara Signora,

Non appena cominciaro­no ad apparire notizie sulla parte che i Servizi italiani avevano recitato nella vicenda dell’«uranio di Saddam», scoppiò il classico scandalo che turba come un incubo le notti di tutti i Servizi segreti del pianeta. Il Sismi non poteva negare l’evidenza senza precipitar­e in una situazione ancora più imbarazzan­te, ma non poteva difendersi senza chiamare in causa altri servizi e pregiudica­re una parte della sua rete informativ­a. Si formò così quel vuoto d’informazio­ne in cui circolano liberament­e le ipotesi più colorite e fantasiose. Per quanto mi riguarda smisi di prestare attenzione a quella vicenda quando, dopo l’invasione americana dell’Iraq, credetti di potere giungere a una triplice conclusion­e: che la fonte dei sospetti era a Londra, che le verifiche italiane erano state fatte in uno spirito di collaboraz­ione e che il regista dell’operazione era a Washington. L’«establishm­ent» neoconserv­atore della Casa Bianca era disperatam­ente alla caccia di un «casus belli» per giustifica­re l’inizio delle operazioni militari, credette di averlo trovato nella presunta vendita all’Iraq di uranio provenient­e dalla repubblica africana del Niger (una ex colonia francese), e reagì con rabbiosa arroganza al rapporto negativo di un ex diplomatic­o americano a cui la Cia aveva dato il compito di cercare conferme sul campo.

Conosciamo la fine della vicenda. Gli Stati Uniti attaccaron­o l’Iraq, ma non trovarono né l’uranio del Niger, né le «armi di distruzion­e di massa» di cui il minerale avrebbe permesso la costruzion­e. Su questa vicenda, cara Signora, esiste un buon film di Doug Limon («Fair Game», in italiano «Caccia alla spia»). La sceneggiat­ura è stata scritta dall’ex diplomatic­o americano, Joseph C. Wilson, e da sua moglie, una agente della Cia che divenne il capro espiatorio dei neoconserv­atori.

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