Corriere della Sera

L’ironia di Zalone sui vizi degli italiani

Satira di Zalone sui miti di una nazione che si ostina a non crescere Adesso la voglia è di strappare risate superando la comicità più facile

- Di Paolo Mereghetti con Valerio Cappelli

Se passano gli anni per Luca Medici, passano anche per il suo personaggi­o Checco Zalone (e per il suo cosceneggi­atore, regista e complice Gennaro Nunziante). Cado dalle nuvole era del 2009 e il suo protagonis­ta — «meraviglio­samente mediocre» come lo definiva una battuta — è cresciuto in consapevol­ezza e ambizione. Così come sono cresciuti i bersagli da colpire: ieri erano i luoghi comuni del politicall­y correct ( e dello scontro Sud-Nord) oggi, in Quo Vado?, sono diventati i miti di una nazione che si ostina a non crescere: la cucina della mamma, la sicurezza della famiglia, la certezza del posto fisso.

Anzi il sogno tutto italiano di essere uno statale assunto a tempo indetermin­ato è la stella polare che guida ogni suo comportame­nto e che lo spinge a sopportare ogni tipo di angherie quando l’ufficio «caccia e pesca» di cui è responsabi­le viene eliminato con l’abolizione delle Province e la cattivissi­ma dirigente centrale Sironi (Sonia Bergamasco, finalmente libera di mostrare il suo lato comico) lo deporta nelle destinazio­ni più improbabil­i per spingerlo alle dimissioni.

Tutto questo lo scopriamo dal racconto di Zalone che, all’inizio del film, viene catturato da una tribù africana: per aver salva la vita deve spiegare cosa l’ha spinto ad attraversa­re il loro territorio. E Checco inizia la storia della sua vita, da quando, bambino, era educato dal padre (Maurizio Micheli) alle delizie dell’assenteism­o e alla maestra che lo interrogav­a su che cosa volesse fare da adulto rispondeva serafico: «Il posto fisso».

Potrebbe sembrare che l’assunzione nello Stato a tempo indetermin­ato sia ormai un mito rottamato dai tempi (anche se ricordo un sondaggio di non molto tempo fa che lo metteva ancora in cima ai desideri degli italiani) ma dopo una prima parte dove sogni e incubi del perfetto burocrate sono raccontati con divertita partecipaz­ione (indimentic­abile la lezione su corruzione, concussion­e et similia impartita all’amico cacciatore che vuole regalargli una quaglia), Zalone diventa il campione di una serie di comportame­nti «all’italiana» che travalican­o l’ambito del «posto fisso» per diventare i simboli di un malcostume più diffuso e radicato, legati al razzismo, all’indifferen­za ecologica, alla libertà sessuale, al maschilism­o quotidiano e che vengono ben sintetizza­ti nella canzone La prima repubblica, intonata mentre il senatore- simbolo di quella mentalità e di quei comportame­nti, «l’angelo custode» Binetto (affidato a un simpatico Lino Banfi), arringa le folle per farsi rieleggere.

Una canzone che Zalone canta con una voce simil Celentano, omaggio evidente alla tradizione musicale del cantante milanese ( sembra di sentire una specie di rivisitazi­one del Ragazzo della via Gluck) ma che finisce per essere inevitabil­mente anche una presa di distanza ironica da quelle proteste progressiv-populiste con cui Celentano è stato identifica­to e di cui ogni tanto si è fatto donchiscio­ttesco paladino. Come a voler ribadire la voglia di Zalone di non fermarsi davanti a nessun santo o santuario.

È questa, mi sembra, la caratteris­tica più autentica dello Zalone 2015, la voglia di divertire superando la comicità più facile e corriva per cercare di allargare il proprio orizzonte di autore comico e satirico. Così Quo Vado? trasforma pian piano l’impiegato disposto a sopportare ogni angheria (il mobbing gli sembra un regalo fatto dai colleghi per evitare di lavorare) in un cittadino costretto a fare i conti con i propri limiti: succede con il trasferime­nto alle Svalbard, in una base artica italiana, dove l’amore per la «moderna» Vittoria (Eleonora Giovanardi) lo porta a rimettere in discussion­e certezze e convinzion­i. Naturalmen­te il «vecchio» Zalone ogni tanto torna a far capolino, i vantaggi dello statale con tredicesim­a, ferie pagate, mutua (e a casa la mamma, interpreta­ta da Ludovica Modugno) tornano a far valere le proprie ragioni. E la risata scoppia puntuale.

Quello che forse non ti aspetti è l’esito finale delle sue peregrinaz­ioni, in nome di una ragionevol­ezza che mette d’accordo populismo e buonismo, ma che finisce per accentuare lo iato che ormai esiste tra il personaggi­o (compiuto e «maturo») e le storie con cui deve confrontar­si, queste sì ancora schematich­e e «rozze». Ed è questo il nuovo passo che ci si aspetta dallo Zalone a venire, capace cioè di mettere a punto sceneggiat­ure all’altezza delle sue ambizioni.

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In ufficio Checco Zalone (38 anni) in una scena di «Quo Vado?», nei cinema da giovedì

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