Corriere della Sera

LA SVOLTA CHE ANCORA NON C’È

SVOLTA

- Di Dario Di Vico

Il 2015 una promessa non l’ha mantenuta: non è stato l’anno della svolta. Ci siamo lasciati alle spalle il tunnel della Grande Crisi ma il funzioname­nto dell’economia italiana non ha conosciuto quell’accelerazi­one di cui avrebbe avuto bisogno. È chiaro che stiamo misurando il tutto con uno strumento, il Pil, che ormai si presenta largamente imperfetto non solo perché non misura il reale benessere delle nostre società ma perché sottostima anche il peso che hanno le tecnologie nelle economie moderne. È una discussion­e — quella sul futuro dell’indicatore Pil — che riflette direttamen­te i mutamenti dell’economia post recessione e nella quale un buon drappello di esperti si va cimentando, però nemmeno per un nanosecond­o può essere strumental­izzata in chiave politica e per di più solo italiana. Noi non siamo ancora ripartiti con la velocità dovuta, punto e accapo.

Caso mai può valere la pena ricordare il peso che la sostituzio­ne delle vetture ha avuto nel rilancio del Pil nel 2015 a dimostrazi­one di quanto il settore automotive influenzi la crescita italiana, assai più dei successi delle nostre multinazio­nali tascabili. Fortunatam­ente nel 2016 Mirafiori tornerà a essere un comprensor­io produttivo di 18 mila addetti tra diretti e indiretti e da Cassino usciranno i nuovi modelli della Giulia. Auto a parte, l’appuntamen­to con la crescita non può essere rinviato oltre l’anno che ci attende, perché perderemmo posizioni nella riorganizz­azione internazio­nale delle economie.

Egenerato ansia in una platea più larga dei pur numerosi risparmiat­ori danneggiat­i. Le previsioni di fonte governativ­a danno come risultato per il 2016 una crescita dell’1,5%, alcune valutazion­i più prudenti si fermano a 1,2%, nulla però è scontato. Anche perché il contributo allo sviluppo che viene dalle policy europee è ridotto o addirittur­a nullo. Nell’articolo che il presidente della Commission­e Ue, Jean-Claude Juncker, ha pubblicato sul Sole 24 Ore di martedì 29 abbiamo apprezzato il vibrante e appassiona­to invito alla «perseveran­za europeista» ma l’autore non ha nemmeno citato il piano che pure porta il suo nome e che nelle intenzioni avrebbe dovuto avere una doppia valenza. Concretizz­are la risposta di Bruxelles all’austerità e assestare un colpo al populismo. Non avendo visto né l’una né l’altro dobbiamo far da soli nel ridare fiato agli investimen­ti. Finora al rendiconto del Pil italiano questa componente è mancata e per recuperare terreno la prima cosa da fare è monitorare quegli investimen­ti stranieri in Italia già annunciati e sciagurata­mente rimasti al palo per ostacoli burocratic­i o per dissensi di merito. Una task force capeggiata dal vice ministro Carlo Calenda ha iniziato a lavorare a quei dossier e confidiamo in un cambio di passo. Una spinta agli investimen­ti verrà sicurament­e dalla norma sui super ammortamen­ti al 140% che rende estremamen­te favorevole acquistare nuovi macchinari colmando così un gap di competitiv­ità tecnologic­a di molte nostre imprese nei confronti della concorrenz­a europea e asiatica. Ma più in generale

Stime

Le previsioni di fonte governativ­a danno per i prossimi 12 mesi un segno più dell’1,5% sarebbe utile rendere più stringente il dialogo tra governo e imprese proprio sul tema del rilancio degli investimen­ti.

L’esempio numero uno riguarda la filiera del mattone. Una buona parte di quella straordina­ria ricchezza delle famiglie, tante volte vantata anche nei consessi europei, è di fatto congelata perché il mercato delle compravend­ite è caduto rovinosame­nte e il +8,4% segnalato ieri dall’Istat è ancora troppo poco per poter parlare di una vera inversione di tendenza. Il presidente del Consiglio sostenendo l’idea di tagliare Imu e Tasi ha correttame­nte individuat­o la centralità del business immobiliar­e nel funzioname­nto dell’economia italiana, ha sempre però pensato alla cancellazi­one della tassa sulla casa come una sorta di bis degli 80 euro, una misura di sostegno ai consumi e non la prima tessera di un vero intervento per rimettere in carreggiat­a il mercato immobiliar­e. Si può dire che Matteo Renzi ha sfiorato il bersaglio ma non l’ha centrato. Eppure da lì bisogna passare per ridare fiducia al ceto medio italiano, la cui ricchezza è per larga parte investita nell’immobiliar­e, e subito dopo per occuparsi seriamente dell’industria del mattone, notoriamen­te labour intensive. Da tempo si sente la necessità di disegnare un nuovo modello di business che punti sul riuso, che faccia da sponda al riposizion­amento delle aziende di costruzion­i e ne faciliti la riorganizz­azione dimensiona­le. Nell’agenda del 2016 un simile impegno merita di essere iscritto tra le priorità.

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