Corriere della Sera

Pro e contro

D’Alimonte: si tratta di un punto d’equilibrio Garantisce chi vince e anche le minoranze

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(m.gal.) «Non sono d’accordo con Angelo Panebianco quando dice che questo sistema durerà lo spazio di un’elezione. È vero i collegi uninominal­i hanno il vantaggio di rafforzare il rapporto diretto fra elettore ed eletto, responsabi­lizzano l’eletto, però succede anche che in Inghilterr­a il partito di Farage con il 13 per cento prende un solo deputato, succede che Marine Le Pen con il 14 per cento prende due deputati. Il collegio uninominal­e ha i suoi pregi ma anche i suoi difetti, per primo quello di sottorappr­esentare la minoranza e in particolar­e quella che ha un voto diffuso».

Roberto D’Alimonte, esperto di sistema elettorali, in qualche modo fra i «padri» delle norme approvate dal Pd, difende la scelta del collegio plurinomin­ale («fra l’altro conseguenz­a dell’unico dei tre paletti di Berlusconi rimasti in piedi») e il senso complessiv­o dell’Italicum: «Non si può avere tutto e non è vero che è un sistema complesso, anzi, è molto semplice: chi vince prende 340 seggi, i partiti che perdono si dividono i restanti 278, però solo coloro che superano lo sbarrament­o del 3 per cento. Insomma rappresent­a un punto di equilibrio fra governabil­ità e rappresent­atività».

C’è anche da chiarire «che è bloccato solo il capolista, in ogni collegio. Se il partito ottiene un secondo deputato nel collegio questo verrà scelto con le preferenze. Dunque il partito che vince avrà 100 nominati, tanti quanti sono i collegi, ma anche 240 deputati eletti con un voto di preferenza». E poi c’è il secondo turno «che produce un vincitore certo: si dà all’elettore la possibilit­à di decidere chi governa il Paese, con il meccanismo del ballottagg­io, una lezione di democrazia e il vero antidoto al populismo e alla sfiducia».

Altra presunta virtù dell’Italicum, «il tasso maggiorita­rio che si sprigiona non in un turno solo, come in Inghilterr­a, ma in due turni. E agli elettori del polo escluso si dà la possibilit­à di riformular­e la propria scelta, di usare una seconda preferenza. Certo si introduce di fatto, anche se non de iure, una forma di elezione diretta del capo del governo, ma la forma di governo resta parlamenta­re, con tutta la sua flessibili­tà e con poteri del capo dello Stato che in caso di crisi vengano semmai esaltati non ridotti».

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