Corriere della Sera

Parigi è stata per secoli interi, almeno a partire dal Settecento, una specie di incubatric­e

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è molto meno importante. Del futuro non sappiamo nulla e ci può essere una dose di ottusità in ogni ottimismo così come in ogni pessimismo si può nascondere una vera forza d’animo. Semmai, a pochi giorni dall’anniversar­io del massacro di «Charlie Hebdo», converrà chiederci di cosa parliamo quando parliamo del nostro amore per Parigi.

Cominciand­o con l’ammettere che, da un punto di vista universalm­ente umano, Parigi non vale più di Aleppo o di Ramadi o di qualunque altro luogo del mondo dove si consumino orribili violenze ai danni degli inermi. Ma solo i santi appartengo­no esclusivam­ente all’umanità. Tutti noi, più normalment­e, siamo vincolati a un tipo o a un altro di cultura, di idee condivise o condivisib­ili, di tradizioni.

Le cose potranno cambiare in peggio anche da noi, ma milioni di occidental­i si possono definire «parigini» non perché ripetono uno slogan, Per questo i bruti si ostinano a sfregiarla E vorrebbero trasformar­la in macerie

e i lori amici arrivarono alla mezza età senza conoscere l’ombra di un riconoscim­ento. Ma non furono dei disperati e non ebbero nessun motivo di consolarsi con il rancore degli incompresi. Avevano nella mente, nel cuore e nelle mani niente meno che una rivoluzion­e, e la loro città, in qualche modo misterioso, riconobbe la loro grandezza molto prima dei critici e dei mercanti.

Leggendo il libro di Renoir, ho compreso chiarament­e che il ruolo di Parigi, nella storia dello spirito umano, è sempre stato quello di rendere possibile l’impossibil­e. Questo è sicurament­e il motivo profondo che ispira i bruti che si ostinano a sfregiarla e vorrebbero trasformar­la in un campo di macerie. Ma è anche la ragione per cui ogni essere umano degno di questo nome, compreso chi non ci ha mai messo piede, può amarla come fosse casa sua.

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