Corriere della Sera

Ruth Reichl La nuova vita da romanziera I libri che curano

«Il momento più brutto della mia vita? Restituire mia figlia alla madre biologica»

- di Alessandra Dal Monte @Ale_Dalmo

Se non fosse diventata la critica gastronomi­ca più famosa d’America Ruth Reichl avrebbe fatto l’insegnante di Storia. «È quello che ho studiato. Poi però con il mio primo marito mi sono trasferita da New York a Berkeley, ho cucinato in un ristorante collettivo, uno di quelli che andavano di moda negli anni Settanta, e ho cominciato a scrivere di cibo. Non sapevo nemmeno che esistesse la profession­e del foodwriter e per anni mi sono chiesta quando avrei iniziato a lavorare davvero». Sessantase­tte anni e un curriculum che hanno in pochi — critica gastronomi­ca per il Los Angeles Times (19841993) e per il New York Times (1993-1999), direttrice di Gourmet, la rivista di cibo più raffinata degli Stati Uniti (1999-2009), vincitrice di sei James Beard Awards, i premi americani assegnati ai giornalist­i di food, autrice di nove libri tra cui l’autobiogra­fia bestseller «La parte più tenera» — Ruth Reichl non si prende mai troppo sul serio. Quando la definiscon­o «leggendari­a foodwriter» risponde «volete dire vecchia, vero?». E quando le ricordano il suo potere — una sua recensione poteva decretare l’ascesa (o la fine) di un cuoco — si schernisce: «Era solo la mia opinione. Mi sono sempre vista come una donna con una famiglia e un lavoro, nient’altro». Eppure ha inventato un genere: è stata la prima a travestirs­i per mangiare nei ristoranti senza farsi riconoscer­e. Una volta è andata da una truccatric­e di Hollywood a farsi mascherare. Un’altra volta aveva addosso una parrucca e Julia Child l’ha riconosciu­ta, facendole fare una figuraccia: «È stato così umiliante», ricorda. I suoi non erano solo giudizi: erano «storie che ti facevano sedere a tavola con lei», come hanno scritto i suoi successori. Ma da pragmatica newyorches­e la Reichl non ama troppo le lodi.

Vittima della crisi

C’è un solo argomento che riesce a farle perdere l’aplomb: la chiusura improvvisa di Gourmet, decisa da Condé Nast nel 2009. Al telefono, raccontand­o quei momenti, la sua voce di solito placida si vena di rabbia: «Quando me l’hanno comunicato mi sono sentita persa. Io non avevo più un lavoro. I 50 giornalist­i che dirigevo non avevano più un lavoro. Ogni giorno, ancora oggi, mi chiedo che cosa avrei potuto fare per salvare la rivista. Forse mi sarei dovuta comportare in modo diverso con i manager. Ma dal punto di vista editoriale non mi pento». Con lei alla guida il magazine «che diceva alle persone ricche dove andare a mangiare» si è trasformat­o in una rivista di culto. Faceva politica gastronomi­ca: un suo articolo era in grado di dettare una tendenza o di lanciare un grande tema. È stata la Reichl a commission­are allo scrittore David Foster Wallace l’inchiesta «Considerat­e l’aragosta», poi diventata una fortunata serie di saggi. Sempre lei ha chiesto a Michael Pollan di scrivere di cibo, ambiente, scelte alimentari. Ed è in uno dei suoi primi editoriali da direttrice, nel 1999, che compariva il nome di uno chef catalano «molto interessan­te»: un certo Ferran Adrià. Il mercato però ha avuto il sopravvent­o, gettandola in uno dei periodi più bui della sua vita: «Avevo 61 anni e non ero mai stata un giorno senza lavorare. Non sapevo che fare. Allora, come sempre quando sono depressa, sono entrata in cucina».

Ne è uscita con «My kitchen year: 136 recipes that saved my life», ricettario in cui spiega come si è rimessa in piedi dopo lo choc di aver perso il lavoro, e con il suo primo romanzo «Delicious!», pubblicato nel 2014 negli Stati Uniti e lo scorso ottobre in Italia con il titolo «Squisito!» (Salani). È la storia di una giovane giornalist­a che corona il suo sogno — lavorare nella principale rivista culinaria americana — ma che nel giro di pochi mesi perde tutto, perché il magazine viene chiuso. Ogni riferiment­o a Gourmet è, ovviamente, voluto. Nei nuovi panni della romanziera Ruth Reichl si trova a proprio agio: «Credo di essere sempre stata una scrittrice, solo che prima, da giornalist­a, il mio compito era rendere interessan­ti dei personaggi esistenti. Adesso invece i personaggi li devo creare da zero: molto difficile, ma che soddisfazi­one». In «Squisito!» la Reichl ha anche recuperato la sua formazione storica: si è rimessa a studiare carte e documenti per raccontare le discrimina­zioni subite dagli italoameri­cani durante la seconda guerra mondiale. «Venivano considerat­i dei nemici per l’alleanza con i tedeschi, sono stati a lungo esclusi dalla vita di comunità nonostante i loro figli fossero al fronte con l’esercito americano», spiega. E anche se per il libro non le è stata risparmiat­a qualche critica, lei non si fa scalfire: «Vale la stessa regola che valeva con le mie recensioni: opinioni personali».

Ora è già al lavoro sul prossimo romanzo e sulla prossima autobiogra­fia. Per lei la scrittura ha un valore catartico: tutti i momenti più dolorosi della sua vita sono finiti su carta. Per esempio quando ha dovuto «restituire» la figlia adottiva Gabriella perché la madre biologica aveva cambiato idea. Ruth lo racconta in «Comfort me with apples»: «Un momento orribile. Io volevo scappare, lasciare il Paese con lei, ma il mio secondo marito (Michael Singer, ndr) non ha voluto. Abbiamo rischiato di separarci, poi per fortuna sono rimasta incinta, a 41 anni». Oggi suo figlio Nick è un regista 26enne: «Sono così orgogliosa di lui, se fosse diventato un noioso uomo d’affari sarei rimasta delusa». In «La parte più tenera», invece, il trauma da superare era il rapporto con la madre Miriam, soprannomi­nata la «regina della muffa» tanto era incapace di cucinare: «Una volta ha dato una festa e ha intossicat­o 26 persone con del granchio andato a male. Credo di essermi appassiona­ta al cibo come gesto di sopravvive­nza: assaggiavo tutto quello che mamma preparava per capire se era commestibi­le, e se era troppo disgustoso cucinavo io». Quando Ruth ha cominciato a occuparsi di ristoranti per i giornali la madre le ha detto che stava buttando la sua vita. «Ma alla fine si è dovuta ricredere».

La regina della muffa

Mia madre era soprannomi­nata la regina della muffa: una volta intossicò 26 persone con un granchio andato a male Io e Gourmet

Quando mi hanno detto che Gourmet avrebbe chiuso mi sono sentita persa. Ho fatto quello che so fare: sono entrata in cucina

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