Il libro
Le nuove parole del mondo food in Eatymology. The dictionary of modern gastronomy di Josh Friedland (Sourcebooks) e un giorno vi trovaste a passare da Asheville, Gran Bretagna, sappiate che potreste essere accolti da un cartello: benvenuti a Foodtopia. È un’intera comunità dove chef, artigiani, contadini, produttori di formaggi e allevatori hanno aderito a un solo credo: vendere e consumare esclusivamente gli alimenti di quel fazzoletto di terra. La punta estrema dei locavores, ecologisti gourmet che aspirano a un mondo dove si mangia e si commercializza il chilometro zero senza eccezioni. In nome, soprattutto, dell’ambiente. Che è poi l’obiettivo del nuovo gruppo di opinione destinato, anche a detta del New York Times, a scalare nel 2016 la oramai desueta comunità foodie, i climatarian. Si tratta di persone che non solo scelgono il cibo in base alla qualità, ma anche in base all’impatto ambientale che ciascun alimento ha sul pianeta. Qualche esempio? Mangiare una bistecca non è solo una decisione antivegetariana o (se consumata in eccesso) poco salubre, ma anche altamente inquinante. Gran parte dello smog che affligge le nostre città, e di cui in questi giorni discutiamo accalorandoci, viene prodotto dagli allevamenti intensivi. È per questo che c’è chi identifica nella carne di coniglio un alimento meno inquinante: non viene prodotta in modo intensivo e, anzi, è utilizzata nei progetti umanitari dove si interviene per carenze alimentari (ad Haiti, per esempio). Ma i climatarian sono attentissimi