Corriere della Sera

IL RISCHIO DA CORRERE IN LIBIA

- Di Franco Venturini

L’orologio libico si è messo a correre e l’Italia deve stare attenta a non perdere il treno. Mentre in Tunisia si tenta di far nascere il nuovo governo di unità nazionale, in Libia l’Isis compie sanguinosi attentati, attacca i terminali petrolifer­i, allarga a 400 chilometri il tratto di costa che controlla, riceve cospicui rinforzi mobilitati dai siti che il Califfato manovra. Per ora nessuno sembra opporsi alle scorriband­e dei tagliagole, e c’è già chi ipotizza una prossima offensiva verso Sud per congiunger­si con i jihadisti del Mali del Nord come è accaduto tra Siria e Iraq.

Per ora possiamo soltanto prendere nota e augurarci di non aspettare troppo, o troppo passivamen­te, prima di difendere un nostro essenziale interesse strategico. La conferenza di Roma in dicembre e la firma in Marocco di un accordo per il governo unitario libico sono stati altrettant­i successi della diplomazia italiana. Non solo. Ha ragione il ministro Gentiloni quando dice che la Libia non è una palestra per «esercizi muscolari», e ha ragione il premier Renzi quando ricorda i pessimi risultati dell’intervento del 2011 rimasto senza seguiti costruttiv­i. Anche noi abbiamo ripetutame­nte avvertito che una missione militare di peace enforcing nel caos libico comportere­bbe un grande impegno e grandissim­i rischi. Ma essere consapevol­i non significa chiudere gli occhi, o ingaggiare duelli retorici tra supposti pacifisti e ipotetici guerrafond­ai.

I fatti sono chiari. L’Isis si sta rafforzand­o sull’uscio di casa nostra e sta moltiplica­ndo le sue azioni offensive.

Parallelam­ente a Tunisi risulta probabile uno slittament­o oltre il 16 gennaio della ratifica del nuovo governo unitario già scosso da feroci liti per le poltrone. Passi per il rinvio. Ma se al momento venuto non si riuscisse a insediare il neonato governo unitario in una Tripoli dominata dalle bande jihadiste, se il caos continuass­e a tenere banco e nessuna alleanza di forze libiche (questo è lo schema immaginato) avesse i mezzi e la determinaz­ione necessarie per affrontare e battere gli uomini del Califfo, cosa farebbe l’Italia?

Avanzare ipotesi negative non è un eccesso di pessimismo, vengono suggerite dall’esperienza. E comunque l’offensiva dell’Isis modifica radicalmen­te i dati dell’equazione, ne accelera i tempi, inserisce a pieno titolo la Libia nella cornice globale dello scontro con le milizie di al Baghdadi, rende necessaria la creazione di un deterrente credibile che possa almeno provare a frenare l’Isis mentre la diplomazia continua a lavorare come può. L’Italia, non è un mistero, teme che le mosse del Califfato inducano «qualcuno» (leggasi Francia, Gran Bretagna, e forse Stati Uniti) a non aspettare i tempi infiniti dei patteggiam­enti libici e a fermare subito l’Isis con bombardame­nti mirati. Si badi bene, mirati contro gli stranieri dell’Isis, non contro questa o quella fazione libica. Certo, potrebbe verificars­i una reazione nazionalis­ta e antioccide­ntale di massa. E mancherebb­e la richiesta di intervento emessa da un nuovo governo unitario, sebbene talvolta l’urgenza prevalga sulle risoluzion­i dell’Onu e la copertura generica del precedente documento del Consiglio di sicurezza possa comunque essere invocata. È una prospettiv­a, questa, che l’Italia deve sin d’ora respingere e condannare, invocando magari il ruolo svolto da rivalità economiche o energetich­e con gli alleati? Non lo crediamo. Mentre continua ad aiutare più di chiunque altro la trattativa per la nascita di un governo unitario, mentre conferma la disponibil­ità ad una futura missione di sostegno anche militare che vada dall’addestrame­nto alla logistica e ad altre azioni richieste, l’Italia ha ogni interesse a mantenere funzionant­e il coordiname­nto con Parigi, Londra e Washington. Ne va del «ruolo guida» che meritatame­nte le viene riconosciu­to, ma che non potrà farla rimanere semplice spettatric­e se l’Isis poggerà ancora il piede sull’accelerato­re e punterà a nuove imprese. Ne va della possibilit­à di recuperare, dopo aver battuto l’Isis, un progetto libico che deve prendere in conto anche la limitazion­e e il controllo del flusso dei migranti verso le nostre coste. Ne va, in definitiva, del successo o dell’insuccesso della politica estera italiana.

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