Corriere della Sera

«Non escludiamo rimborsi totali»

- Di Lorenzo Salvia

ROMA «Le indagini devono fare il loro corso e, una volta accertate le responsabi­lità, chi avesse sbagliato dovrà pagare. Ma in ogni caso escludo conseguenz­e di qualsiasi tipo sul governo». Anche se il padre del ministro Maria Elena Boschi dovesse essere rinviato a giudizio o condannato? «Siamo in uno Stato di diritto, se non sbaglio. La responsabi­lità davanti alla legge è personale. E, aggiungo, il discorso del ministro Boschi in Parlamento è stato limpido e ineccepibi­le, come è stato riconosciu­to dalla gran parte degli osservator­i e anche da un buon numero di avversari politici». Il sottosegre­tario alla presidenza del consiglio Claudio De Vincenti è abituato a parlare lentamente, sempre alla ricerca della parola esatta come faceva da professore universita­rio. Stavolta aggiunge delle pause. Forse consapevol­e che la vicenda della quattro banche salvate per decreto dal governo («guardi che non abbiamo salvato le banche, abbiamo salvato i soldi di chi lì aveva il conto corrente») è un terreno molto scivoloso.

È per questo che avete deciso di accelerare sui decreti per gli indennizzi?

«No, abbiamo accelerato perché è giusto dare una risposta rapida a chi ha perso i soldi che aveva investito».

Sarà possibile, in alcuni casi, un rimborso totale?

«In linea di principio l’ipotesi non è da escludere. Per il momento si sta ragionando sui principi che porteranno a

fissare criteri precisi».

E quali saranno?

«Il primo è che non sia stata fornita al risparmiat­ore un’informazio­ne adeguata su quel tipo di investimen­to. Il secondo è che saranno privilegia­te le posizioni più fragili, consideran­do sia il tipo di investimen­to sia il profilo generale del risparmiat­ore».

È possibile che l’indennizzo sia fatto con azioni delle nuove banche?

«Mi sembra prematuro parlarne».

Però la percentual­e non sarà uguale per tutti?

«È una delle ipotesi».

Per i rimborsi ci sono al momento 100 milioni di euro. Ne arriverann­o altri?

«Non è da escludere ma vedremo più avanti. Prima bisogna capire quante risorse saranno assorbite dalle decisioni degli arbitrati. Poi, se necessario, potremo intervenir­e.

Sottolineo, comunque, che quei 100 milioni non sono soldi pubblici: sono fondi messi a disposizio­ne dal sistema bancario».

La prossima settimana approveret­e la riforma delle banche di credito cooperativ­o. Recepirete le proposte delle stesse Bcc oppure no?

«Terremo conto della loro autoriform­a. In ogni caso puntiamo a un sistema basato su uno o più gruppi aggreganti che aiutino il rafforzame­nto delle banche. L’obiettivo è sbloccare il credito all’economia. Vedremo entro gennaio».

Intanto il 31 dicembre è scaduto il vecchio programma di fondi europei. Quanto non siamo riusciti a spendere di quei 45 miliardi di euro?

«Il dato finale lo avremo a febbraio ma siamo molto soddisfatt­i. Abbiamo sostanzial­mente raggiunto l’obiettivo di assorbimen­to delle risorse, stimiamo un rischio residuo non superiore al 2-2,5%. Insomma alla peggio potrebbe restare fuori un miliardo».

Comunque non poco, in tempo di risorse scarse.

«La colpa non è certo nostra. Nel 2011 il governo Berlusconi era arrivato a spendere solo il 15% dei fondi a disposizio­ne fin dal 2007. C’è stato un forte recupero di spesa, specie sui quattro programmi più in difficoltà: quelli nazionale Reti e quelli regionali Calabria, Sicilia e Campania, dove per tutti arriviamo al 100% o molto vicini».

Non è che, pur di usare quei soldi, abbiamo abbassato

la qualità della spesa, cioè finanziato «la qualunque»?

«Al contrario. Abbiamo riprogramm­ato i fondi verso i progetti capaci di tirare più risorse, trasporto su ferro e dissesto idrogeolog­ico».

È vero che per la vendita delle acciaierie Ilva il governo cerca una cordata italiana?

«Non abbiamo preferenze di nazionalit­à. L’unica preferenza è per una soluzione che mantenga la forza industrial­e

Alla peggio la somma non spesa al 31 dicembre non dovrebbe superare il miliardo di euro

e finanziari­a dell’azienda e il radicament­o sul territorio italiano di tutti gli attuali stabilimen­ti, a cominciare da Taranto».

Questo rende probabile che la cordata sia italiana, non crede?

«Naturalmen­te noi sollecitia­mo gli imprendito­ri italiani a farsi avanti con proposte concrete».

E non c’è il rischio che si ripeta il pasticcio dei «capitani coraggiosi» di Alitalia, con una toppa che non regge?

«No, perché la soluzione deve essere forte sul piano industrial­e e finanziari­o».

Ma chi dal sarà puntoa firmaredi vista l’atto tecnicodi vendita«È l’amministra­zionedell’Ilva? straordina­ria che opera la cessione. Non vedo il problema».

C’è chi parla di esproprio.

«Non sa ci cosa sta parlando. Siamo nel pieno rispetto della Legge Marzano. E senza il commissari­amento di due anni fa, oggi sì che l’Ilva sarebbe a rischio».

Dall’Unione europea continuano a chiederci di non esagerare sulla flessibili­tà. Rischiamo nuove procedure d’infrazione?

«No, perché non chiediamo nulla di più di quanto già previsto dalle regole europee».

C’è però il rischio che il debito pubblico non scenda se l’anno prossimo il Pil cresce meno di quanto previsto da voi e l’inflazione resta così bassa. Non pensa?

«La crescita dell’economia farà riprendere anche la dinamica dei prezzi. In ogni caso il debito pubblico scenderà».

E vi impegnate a disinnesca­re le clausole di salvaguard­ia del 2017, cioè gli aumenti di tasse che scatterebb­ero in automatico?

«Certo, e lo faremo continuand­o a lavorare sulla revisione della spesa pubblica. Eviterei di chiamarla ancora spending review ».

Si dice che Vasco Errani potrebbe prendere il suo posto allo Sviluppo economico.

«Ho grande stima per lui, abbiamo lavorato insieme per risolvere situazioni di crisi aziendali in Emilia Romagna. Quanto ai futuri assetti del governo, dipendono da tante variabili che saranno valutate con le forze politiche. A me piace pensare che i partiti abbiano un ruolo importante nella valutazion­e della situazione politica».

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