Corriere della Sera

Nel Sinai cresce il potere di Isis

- Di Davide Frattini

GERUSALEMM­E Prima di essere assassinat­o nel 1981, Anwar Sadat pianificav­a di innestare cinque milioni di egiziani nel Sinai, l’acqua del Nilo sarebbe stata deviata, il deserto sarebbe diventato campi coltivati, nuove città avrebbero sostituito i vecchi villaggi. È quello che ha realizzato il suo successore Hosni Mubarak con i piccoli borghi di pescatori: solo che lo sviluppo turistico di Sharm elSheikh (diventata la residenza estiva del Faraone abbattuto dalla rivoluzion­e di cinque anni fa) o di Hurgada, che ormai si allunga per quaranta chilometri lungo la costa, non hanno beneficiat­o i beduini della penisola.

Anzi l’espansione della Riviera sul Mar Rosso è stata percepita come un’invasione dalla capitale, ha tolto il (poco) lavoro agli abitanti che sono stati costretti a lasciare la costa meridional­e per rifugiarsi sulle montagne dell’interno. Da dove sono ridiscesi con le auto imbottite di tritolo: tra il 2004 e il 2006 gli attentati hanno devastato Taba, Ras al-Shaitan, Nuweiba, Sharm el-Sheikh, Dahab. Una vendetta da 130 morti contro il turismo egiziano.

Anche Mohammed Morsi prometteva di aiutare «i figli del Sinai». I suoi due viaggi presidenzi­ali volevano simboleggi­are la riconcilia­zione ma hanno solo preceduto le minacce militari: Morsi ha ordinato il dispiegame­nto dell’esercito e per la prima volta dal conflitto contro Israele del 1973 gli elicotteri d’attacco egiziani hanno sparato missili nel Sinai.

Tra i capi dei Fratelli Musulmani, ha però evitato il confronto militare diretto con i clan locali e i cavalieri del deserto hanno continuato a spadronegg­iare sui loro cammelli d’acciaio, i fuoristrad­a che sono il simbolo di potere dei trafficant­i di donne-uomini-armidroga e il mezzo d’attacco preferito dai fondamenta­listi locali che alla fine del 2013 hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico.

Così la guerra che Morsi non ha dichiarato è adesso quella che Abdel Fattah al Sissi, il generale diventato presidente dopo averlo imprigiona­to, deve combattere. Il Sinai è rimasto troppo a lungo fuori dal controllo e dall’attenzione del governo centrale. I 300 mila beduini rappresent­ano il 70 per cento della popolazion­e e appartengo­no a una ventina di tribù. Che hanno le loro leggi e le loro usanze: i clan negli anni hanno cominciato a rispettare sempre di più le norme predicate dagli sceicchi attraverso gli altoparlan­ti durante la preghiera. «Sono diventati profondame­nte religiosi — ha scritto sulla rivista Jerusalem Report l’analista israeliano Avi Issacharof­f — le moschee sono finite sotto il dominio di gruppi fondamenta­listi arrivati da fuori. Gli abitanti hanno aiutato i terroristi ad acclimatar­si».

Ansar Bayt al Maqdis, organizzaz­ione cresciuta nella penisola, vuole dimostrare che in Sinai c’è un nuovo potere: si oppone a quello del Cairo ed emana da Abu Bakr Al Baghdadi. Del Califfo i boss locali cercano di emulare la strategia: i posti di blocco lungo le strade che attraversa­no lo «scatolone di sabbia» — come lo chiamano gli storici egiziani — vogliono sostituirs­i alla polizia dello Stato, i vessilli neri issati sulle caserme militari conquistat­e vogliono far credere che stia nascendo uno Stato (Islamico) nello Stato. Del Califfo proclamano di eseguire gli ordini: l’attentato di giovedì contro un autobus di turisti israeliani al Cairo è stato rivendicat­o come la risposta all’appello del leader di «uccidere gli ebrei».

L’estate scorsa al-Sissi ha firmato i cinquantaq­uattro articoli della legge antiterror­ismo. Da militare assicura di poter riportare la calma nel Sinai, di poter fermare gli estremisti che da lì colpiscono nella capitale. Il turismo è fondamenta­le per un Paese che non riesce a uscire dalla crisi economica, la sicurezza nei villaggi sul Mar Rosso è stata rafforzata, l’esercito

In Sinai le moschee cadute sotto il controllo di fondamenta­listi venuti da fuori

fa da cordone protettivo verso le montagne sotto il dominio delle tribù. Israele coopera nella lotta contro i fondamenta­listi, offre l’appoggio dei suoi droni, gli aerei senza pilota guidati a distanza: i 61 mila chilometri quadrati che collegano due continenti sono tanti da sorvegliar­e e il premier Benjamin Netanyahu li considera «il far west sul nostro confine sud».

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