Corriere della Sera

La Cei e i due «partiti» sui diritti alle coppie gay

Ma per il Family day niente sponsorizz­azione

- di Gian Guido Vecchi

CITTÀ DEL VATICANO Ufficialme­nte non ne hanno parlato. «Solo un accenno en passant », filtra dall’ufficio di presidenza della Cei, riunito per definire l’ordine del giorno del prossimo Consiglio permanente dei vescovi previsto dal 25 al 27 gennaio, poco prima del «Family day» annunciato a fine mese. Sullo sfondo, comunque, resta sempre ciò che disse Papa Francesco all’Assemblea generale dei vescovi italiani, il 18 maggio dell’anno scorso: i credenti laici «non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota o del monsignore-pilota o di un input clericale». Il che spiegava la mancata adesione della Cei alla manifestaz­ione di piazza San Giovanni del 20 giugno scorso e spiega oggi la freddezza dell’episcopato davanti alla nuova convocazio­ne, con una preoccupaz­ione in più: evitare le polemiche di allora per il mancato appoggio dell’episcopato — con relative distinzion­i tra la linea «dura» del presidente Bagnasco e quella «dialogante» del segretario generale Galantino — tanto più se la partecipaz­ione fosse massiccia.

La situazione appare comunque definita: niente convocazio­ni o benedizion­i formali, « non è stagione » , si spiega negli ambienti Cei: i cattolici organizzat­i in quanto tali «vanno in piazza per pregare». Dopodiché, come diceva al Corriere il cardinale Gualpreved­e tiero Bassetti, «i cristiani sono cittadini come tutti e hanno il diritto di difendere le loro idee», tenuto conto che «diversa è la vocazione dei laici e dei sacerdoti o vescovi». Si tratta «di avviare e curare un processo» di confronto più che «creare singoli eventi», spiegava, don Paolo Gentili, dell’ufficio famiglia della Cei.

Quanto al contenuto, tuttavia, la faccenda è un po’ più complessa. Il ddl Cirinnà, così come è stato presentato, vede contrari tutti i vescovi, anche i più «progressis­ti». Il motivo fondamenta­le è l’articolo che la cosiddetta «stepchild adoption», che per i vescovi porterebbe oltretutto a legittimar­e la pratica dell’«utero in affitto». In generale, si ripete, non è accettabil­e qualsiasi forma di «equiparazi­one» tra le unioni civili fra omosessual­i e la famiglia formata da uomo e donna «definita dalla Costituzio­ne».

Detto questo, sulle unioni civili in sé i vescovi appaiono divisi. Nell’ultimo Sinodo sulla famiglia, in Vaticano, non se ne è discusso, poiché il problema è essenzialm­ente italiano: altrove la questione non si poneva oppure, a cominciare dagli europei, era già stata risolta. In via riservata, molti vescovi tedeschi si dicevano «stupiti» dalle resistenze degli italiani davanti a una legge che l’episcopato in Germania ha accettato, «è un dovere e un diritto dello Stato regolare le unioni omosessual­i, se distinte dal matrimonio».

In Italia non tutti la pensano così. La Cei di Ruini fece le barricate contro i Dico poiché riteneva che bastasse il riconoscim­ento dei «diritti individual­i», punto, non della coppia in quanto tale. Molti continuano a pensarla così, anche se l’accettazio­ne delle unioni civili si sta facendo strada assieme alla consapevol­ezza che i Dico non erano poi così terribili. In questo senso le parole di un cardinale come Gualtiero Bassetti — «le unioni civili vanno riconosciu­te in quanto tali, purché non ci si facciano equivoci col matrimonio» — sono un segnale importante. Resta tuttavia la divisione. E un’ambiguità che le frasi del tipo «prima si parli delle famiglie» riescono appena a velare.

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