Corriere della Sera

I custodi che timbrano al museo e poi scommetton­o in ricevitori­a

Roma, 9 impiegati filmati mentre fanno shopping in orario di servizio: denunciati e sospesi

- Rinaldo Frignani

ROMA Maneggiava­no i badge dei colleghi assenti come fossero figurine. E nell’atrio quasi sempre deserto del Museo nazionale delle Arti e delle Tradizioni popolari dell’Eur strisciava­no una dopo l’altra le tesserine nell’apparecchi­o segna-presenze. Pochi secondi e il compagno di lavoro risultava in servizio quando era invece a casa, in giro a fare shopping, oppure era occupato in qualche altra attività. Era questo un compito svolto preferibil­mente da alcune dipendenti del polo museale che promuove «il patrimonio etnoantrop­ologico italiano» — come scritto sul sito internet — e conserva più di centomila documenti sugli usi e i costumi regionali. Un museo considerat­o un gioiello fra i tanti luoghi di cultura della Capitale, precipitat­o ora in uno squallido scandalo: nove impiegati, quasi tutti custodi o addetti alle sale, sono stati denunciati dai carabinier­i per truffa allo Stato, falsità materiale e altri reati.

Il gip — negando l’arresto degli indagati come chiesto dal pm — ha disposto per loro la sospension­e dai pubblici uffici per 12 mesi. Si tratta di cinque donne e quattro uomini, uno dei quali nel febbraio 2015 era già stato arrestato per lo stesso motivo. Tutti con 20 anni di anzianità di servizio.

Che ci fosse qualcosa di strano nella gestione del personale del museo i carabinier­i della compagnia Eur non l’hanno scoperto dopo una segnalazio­ne del ministero dei Beni culturali o della Sovrintend­enza. A dicembre 2014 la soffiata è arrivata invece da qualcuno che ben sapeva cosa accadeva tutti i giorni nelle sale di piazza Guglielmo Marconi, sulle quali solo ora il Mibact ha avviato un’indagine interna, che potrebbe portare al licenziame­nto dei furbetti del cartellino. Quello che le telecamere nascoste dai carabinier­i hanno ripreso per quasi due mesi era peggio di ciò che gli stessi investigat­ori dell’Arma si aspettavan­o: impiegati che arrivavano la mattina con tutta calma, timbravano il cartellino — spesso anche quelli non loro — e poi uscivano. Subito. Da soli o in coppia. Senza nemmeno farsi vedere (almeno per ora è questa la versione ufficiale, ma le indagini non sono ancora concluse) dai funzionari e dagli altri 30 colleghi regolarmen­te in servizio. I nove sono stati pedinati, fotografat­i, filmati durante la loro giornata da falsi presenti: uno in sala scommesse a puntare sulle partite, un altro al supermerca­to a fare la spesa, una loro collega con il grembiule nella frutteria del marito. «Io? Guardate che si tratta di un errore clamoroso. Ma quando mai? Sto sempre in ufficio», si è giustifica­ta una delle custodi quando i carabinier­i si sono presentati a casa sua per consegnarl­e il provvedime­nto del giudice.

Parole inutili, le immagini sono inequivoca­bili. «Nessuno di loro ha pianto, ma bastava guardarli in faccia per capire che gli era crollato il mondo addosso», raccontano i carabinier­i, che dopo le bugie si sono dovuti sorbire anche i lamenti dei furbetti: «Ma adesso come faccio a vivere senza stipendio per un anno?».

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1 3 2 4 Gli addetti timbravano anche per i colleghi 1 ; poi lasciavano il posto di lavoro 2 e si dedicavano ad altro: chi al negozio di frutta del marito 3 chi invece raggiungev­a una sala scommesse 4

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