Corriere della Sera

Via D’Amelio, il depistaggi­o resta senza colpevoli. Indagine archiviata

- Di Giovanni Bianconi

Per gli inquirenti che hanno chiesto di chiudere la partita resta «una vicenda tra le più gravi, se non la più grave in assoluto, della storia giudiziari­a di questo Paese», ma la Giustizia è costretta ad alzare bandiera bianca. Perché a carico dei tre poliziotti indagati per il depistaggi­o sulla strage di via D’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, non ci sono elementi per imbastire un processo. Non si riesce nemmeno a stabilire se fu davvero un depistaggi­o oppure un errore investigat­ivo-giudiziari­o sul quale s’è insistito con troppa convinzion­e. In ogni caso i falsi pentiti che nel 1992 e anni seguenti dissero bugie, e solo nel 2008 (dopo che il nuovo collaborat­ore Gaspare Spatuzza si autoaccusò della strage) hanno ritrattato denunciand­o pressioni e costrizion­i da parte degli investigat­ori, non sono credibili. Si tratta di personaggi «sfuggenti e ambigui», dalle rivelazion­i «non genuine», e come hanno mentito in passato possono farlo oggi. Ecco perché il giudice di Caltanisse­tta Alessandra Giunta ha archiviato il procedimen­to nei confronti dei funzionari di polizia Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera, difesi tra gli altri dagli avvocati Nino Caleca e Roberta Pezzano, accogliend­o la tesi del procurator­e Sergio Lari (oggi procurator­e generale) e dei sostituti Gabriele Paci e Stefano Luciani. Giusto così, anche per non compromett­ere eventuali, sebbene

«Resta inqualific­abile la condotta di investigat­ori che hanno costruito un castello di menzogne»

improbabil­i, sviluppi futuri. Tuttavia, come hanno scritto i pubblici ministeri nella loro richiesta, «resta grave e inqualific­abile la condotta di quegli investigat­ori che hanno significat­ivamente contribuit­o ad allontanar­e la verità, costruendo un castello di menzogne che lascia davvero attoniti». Si arrivò a condanne definitive per 7 ergastolan­i, ora scarcerati perché scagionati da Spatuzza; una smacco per l’antimafia, che rimane senza responsabi­li. Sullo sfondo, però, sono emerse «condotte di sbalorditi­va gravità, commesse in spregio dei più elementari doveri di lealtà e correttezz­a» da parte di esponenti delle istituzion­i. Ed è «inquietant­e» che, nemmeno un mese dopo la strage, il centro Sisde di Palermo (servizio segreto civile) anticipò a Roma prossime novità d’indagine che a quella data non erano ancora state acquisite dalla polizia. Quasi fosse un pacco preconfezi­onato. Ma oggi la giustizia si arrende. Anche perché, constatano «con una certa amarezza» i pm, tra i testimoni che all’epoca erano al servizio delle istituzion­i «non è giunto alcun contributo utile». E l’antimafia ha perso un’altra volta.

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