Corriere della Sera

ABBIAMO BISOGNO DI DIALOGO PIÙ CHE DI PROVOCAZIO­NI

Il pianeta ha risorse limitate e ospita 7 miliardi di persone con culture e fedi diverse, e interessi divergenti Per ridurre conflitti e scontri a livello globale è necessario conoscersi e rispettars­i, soprattutt­o tra credenti e non credenti

- Di Mauro Magatti

La copertina di Charlie Hebdo — nella quale un dio generico, rappresent­ato come un assassino dotato di Kalashniko­v, viene accusato della violenza che esplode nel mondo — è stata una provocazio­ne che non poteva che polarizzar­e gli animi: da un lato il fronte religioso, che ha per lo più reagito con l’indignazio­ne; dall’altro quello laico, che ha difeso la decisione della redazione francese di mettere sul banco degli imputati, senza distinzion­e alcuna, tutte le religioni.

In realtà, in un momento come questo, c’è da domandarsi se un tale risultato sia davvero quello che serve. O se non sia più utile, andando al di là della provocazio­ne, capire non ciò che contrappon­e ma ciò che unisce credenti e non credenti.

Quello che sappiamo è che la relazione tra violenza e religione è storicamen­te ricorrente. Ma, nel dire questo, occorre subito aggiungere che la violenza non ha bisogno della religione per esplodere (nel XX secolo, ad esempio, è stata la politica, non la religione, a esercitare una violenza distruttiv­a). E che, d’altra parte, le religioni, anche quelle che parlano di un Dio creatore, non sono immuni dalla violenza e anzi, non di rado, ne sono state profondame­nte pervase.

In realtà, quando si parla di questo argomento, ce n’è per tutti. Credenti e non credenti.

Come ha chiarito l’antropolog­o René Girard, la violenza è una latenza presente in tutte le società: fondamenta­lmente, a causa della natura del desiderio umano che è sempre mimetico, dato che è per noi desiderabi­le ciò che è desiderato da altri. E proprio per questo il sacro, che ruota attorno a questo punto incandesce­nte, è strettamen­te associato alla violenza e ai suoi usi.

Per questo, le due posizioni che sono echeggiate in questi giorni («eliminando la religio- ne, eliminerem­o la violenza» e «la religione non ha niente a che fare con la violenza») sono sterili. Ciò è tanto più importante da ricordare oggi, nell’epoca della globalizza­zione, in cui le diverse religioni — che sono ben lontane dallo scomparire — entrano in contatto reciproco.

Il punto è che, in questa nuova fase storica, proprio la questione della violenza è il terreno su cui i rapporti tra politica e religione vanno ridefiniti.

La violenza va rifiutata e combattuta. E ciò è compito della politica, che deve farsi carico di contenere e punire chi ne fa uso in modo illegittim­o. Ma un tale impegno deve coinvolger­e anche le religioni, dal momento che la violenza ha sempre a che fare con il senso della vita, l’insegnamen­to religioso, il dibattito teologico.

Il pensiero laico riconosca che, per quanti sforzi gli essere umani abbiano fatto fino a oggi, non bastano le argomentaz­ioni razionali e le istituzion­i politiche a governare l’animo umano. Che mantiene sempre un cono d’ombra, da cui storicamen­te sono uscite le atrocità più impensabil­i.

Il pensiero religioso riconosca

che il sacro, avendo a che fare con la vita e con la morte, si muove su un terreno che lambisce sempre la violenza: nella storia, troppe volte il nome di Dio è stato brandito da uomini contro altri uomini.

La questione del rapporto tra violenza, religione e vita associata è e sarà al centro di quella nuova fase storica di cui siamo oggi solo gli albori, e che abbiamo chiamato globalizza­zione

Capire come far convivere 7 miliardi di persone, con culture e fedi diverse, interessi economici e politici divergenti, nel quadro di un comune pianeta a risorse limitate rimane una sfida che fa tremare i polsi. Per questo, invece che alimentare la faida tra credenti e non credenti, occorre cercare di costruire un terreno comune tra tutti gli uomini di buona volontà, facendo maturare sia la politica sia la religione così da renderle capaci di contribuir­e ad affrontare le enormi questioni che la nostra storia comune ci pone di fronte.

Radicalism­o La copertina di gennaio di «Charlie Hebdo» non poteva che polarizzar­e gli animi

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