A Palazzo Fortuny di Venezia la rassegna «Erme e Saturni» dedicata all’artista Le divine ombre di Ida Barbarigo, pittrice innamorata della libertà
Una fotografia — anni Settanta — di Gianni Berengo Gardin dell’atelier veneziano di Ida Barbarigo apre il catalogo (Fondazione Musei Civici) della rassegna veneziana dedicatale a Palazzo Fortuny (sino al 13 marzo), a cura di Daniela Ferretti. Per i soggetti, Erme e Saturni (circa 40 dipinti 1980’90), la Barbarigo (Venezia, 1920) s’è ispirata ai pilastri — con in cima teste scolpite a tutto tondo — che nell’antica Grecia era posti nei crocevia e lungo le strade (a richiamare Ermes, protettore dei viandanti) e al mito di Saturno, col quale l’artista sembra avere una certa dimestichezza, dato che il suo dialogo col dio romano è cominciato diversi decenni addietro. Basta ricordare La cerchia di Saturno, dove gli dèi erano colti nella loro primordialità. Da lì, l’artista si addentrava nella casa di Dioniso, dove gli abitanti dell’Olimpo s’inebriavano, coglievano fiori e frutti e diventavano, essi stessi, elementi di un giardino in cui la vita si trasferiva «nella materia della pittura».
Apparizioni. Evocazioni. Autoritratti ( Erma, Melancolia). Volti tragici, traumatici, acquosi, consunti affiorano sulla tela lasciandovi un’impronta indelebile (ricordate la Sindone?). Degni di Poe e di Lovecraft, li aveva definiti Jean Clair a suo tempo. Volti che richiamano la mitica Sfinge, magari. Capita, infatti, che i visi paiano sfaldarsi sino a decomporsi in forme vegetali, in paesaggi di grande e terribile seduzione.
Barbarigo è un nome di battaglia. Ida è una Cadorin. E i Cadorin, si sa, da generazioni sono scultori, pittori, architetti, letterati, musicisti. Il padre, Guido ( 1892 - 1976) — che d’Annunzio chiamava il «pittore del Vittoriale » — nel 1924-’25 aveva affrescato la
Da sinistra: Ida Barbarigo, Saturno (1997, olio su tela) e Erma (1981, olio su tela) in mostra a Palazzo Fortuny
stanza da letto del poeta, detta anche la «Stanza del lebbroso». Nel ’26 era stato chiamato dall’architetto Marcello Piacentini a Roma per affrescare il salone centrale dell’hôtel Ambasciatori. Con un occhio alla Secessione viennese e l’altro alle invenzioni del Liberty, Cadorin aveva saputo conciliare invenzione pittorica, fantasia decorativa e abilità artigianale. La sua passione per i miti dell’antica Grecia ispira volti e apparizioni
Giovanissima, Ida comincia a studiare architettura, ma il padre l’avvia alla tavolozza (la madre, pittrice anch’essa e poetessa, le leggeva in francese le pagine de Le mille e una notte). Quindi l’artista, come tutte le ragazze di buona famiglia che suonano il piano (la definizione è di Federico García Lorca), una volta scelta la strada della pittura, va a vivere a Parigi.
Anno di grazia 1952. La città
dei dogi le va un po’ stretta. A parte il desiderio innato d’ogni veneziano, di andare alla scoperta del mondo, sin dalla più tenera età, Ida si « sentiva un’adulta imprigionata nell’aspetto di una bambina». Le tante zie che circolavano in casa — ricorderà — cercavano di dissuaderla dalla sua vocazione: bastava sposarsi e avere dei figli. Tempo perso. C’erano, però, altri rischi. Col nonno e il padre, pittori di grande talento e di altrettanto successo, il confronto sarebbe diventato inevitabile. E, quindi, anche qualche eventuale difficoltà a farsi riconoscere temperamento e personalità propria.
Parigi le sembrava la città ideale per tuffarsi nell’anonimato. Lì si era certi che un artista — vero artista — sarebbe riuscito a sfondare. Era solo questione di tempo. Così Ida Barbarigo, una volta impostasi nella capitale francese, ha potuto tranquillamente dividere la propria esistenza fra rue du Bac e il Canal Grande. Anche il matrimonio con Zoran Music non ha cambiato la sua vita. Indipendente era stata sino al momento del fatidico «sì», e indipendente è rimasta anche
dopo. A Parigi, ha continuato a dipingere nella casa-studio di rue du Bac (VII arrondissement) mentre Music se ne stava in quella di rue des Vignes (XVI arrondissement). Ognuno, in simbiosi coi propri colori e coi propri fantasmi.
Due case-studio anche a Venezia — stavolta nello stesso edificio —, il Palazzo Balbi-Valier, nei pressi del ponte dell’Accademia, dove spesso hanno ospitato l’amico François Mitterrand, talvolta accompagnato dalla figlia «segreta» Mazarine.
«Una convivenza stimolante, ma spesso dolorosa — scriverà Pierre Rosenberg sul “Corriere” —. Com’è possibile, infatti, resistere alla forte personalità di Zoran (…) senza perdere la testa, contro i venti e le maree: la testa della creazione personale»?
Ci vorrà qualche tempo, ma la «liberazione» arriverà comunque e oggi Ida, a 95 anni, può sedersi tranquilla su una delle sue seggiole (anni Cinquanta) che, invece, una volta tanto, erano servite ad ispirare la tavolozza di Music.