Corriere della Sera

A Palazzo Fortuny di Venezia la rassegna «Erme e Saturni» dedicata all’artista Le divine ombre di Ida Barbarigo, pittrice innamorata della libertà

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Una fotografia — anni Settanta — di Gianni Berengo Gardin dell’atelier veneziano di Ida Barbarigo apre il catalogo (Fondazione Musei Civici) della rassegna veneziana dedicatale a Palazzo Fortuny (sino al 13 marzo), a cura di Daniela Ferretti. Per i soggetti, Erme e Saturni (circa 40 dipinti 1980’90), la Barbarigo (Venezia, 1920) s’è ispirata ai pilastri — con in cima teste scolpite a tutto tondo — che nell’antica Grecia era posti nei crocevia e lungo le strade (a richiamare Ermes, protettore dei viandanti) e al mito di Saturno, col quale l’artista sembra avere una certa dimestiche­zza, dato che il suo dialogo col dio romano è cominciato diversi decenni addietro. Basta ricordare La cerchia di Saturno, dove gli dèi erano colti nella loro primordial­ità. Da lì, l’artista si addentrava nella casa di Dioniso, dove gli abitanti dell’Olimpo s’inebriavan­o, coglievano fiori e frutti e diventavan­o, essi stessi, elementi di un giardino in cui la vita si trasferiva «nella materia della pittura».

Apparizion­i. Evocazioni. Autoritrat­ti ( Erma, Melancolia). Volti tragici, traumatici, acquosi, consunti affiorano sulla tela lasciandov­i un’impronta indelebile (ricordate la Sindone?). Degni di Poe e di Lovecraft, li aveva definiti Jean Clair a suo tempo. Volti che richiamano la mitica Sfinge, magari. Capita, infatti, che i visi paiano sfaldarsi sino a decomporsi in forme vegetali, in paesaggi di grande e terribile seduzione.

Barbarigo è un nome di battaglia. Ida è una Cadorin. E i Cadorin, si sa, da generazion­i sono scultori, pittori, architetti, letterati, musicisti. Il padre, Guido ( 1892 - 1976) — che d’Annunzio chiamava il «pittore del Vittoriale » — nel 1924-’25 aveva affrescato la

Da sinistra: Ida Barbarigo, Saturno (1997, olio su tela) e Erma (1981, olio su tela) in mostra a Palazzo Fortuny

stanza da letto del poeta, detta anche la «Stanza del lebbroso». Nel ’26 era stato chiamato dall’architetto Marcello Piacentini a Roma per affrescare il salone centrale dell’hôtel Ambasciato­ri. Con un occhio alla Secessione viennese e l’altro alle invenzioni del Liberty, Cadorin aveva saputo conciliare invenzione pittorica, fantasia decorativa e abilità artigianal­e. La sua passione per i miti dell’antica Grecia ispira volti e apparizion­i

Giovanissi­ma, Ida comincia a studiare architettu­ra, ma il padre l’avvia alla tavolozza (la madre, pittrice anch’essa e poetessa, le leggeva in francese le pagine de Le mille e una notte). Quindi l’artista, come tutte le ragazze di buona famiglia che suonano il piano (la definizion­e è di Federico García Lorca), una volta scelta la strada della pittura, va a vivere a Parigi.

Anno di grazia 1952. La città

dei dogi le va un po’ stretta. A parte il desiderio innato d’ogni veneziano, di andare alla scoperta del mondo, sin dalla più tenera età, Ida si « sentiva un’adulta imprigiona­ta nell’aspetto di una bambina». Le tante zie che circolavan­o in casa — ricorderà — cercavano di dissuaderl­a dalla sua vocazione: bastava sposarsi e avere dei figli. Tempo perso. C’erano, però, altri rischi. Col nonno e il padre, pittori di grande talento e di altrettant­o successo, il confronto sarebbe diventato inevitabil­e. E, quindi, anche qualche eventuale difficoltà a farsi riconoscer­e temperamen­to e personalit­à propria.

Parigi le sembrava la città ideale per tuffarsi nell’anonimato. Lì si era certi che un artista — vero artista — sarebbe riuscito a sfondare. Era solo questione di tempo. Così Ida Barbarigo, una volta impostasi nella capitale francese, ha potuto tranquilla­mente dividere la propria esistenza fra rue du Bac e il Canal Grande. Anche il matrimonio con Zoran Music non ha cambiato la sua vita. Indipenden­te era stata sino al momento del fatidico «sì», e indipenden­te è rimasta anche

dopo. A Parigi, ha continuato a dipingere nella casa-studio di rue du Bac (VII arrondisse­ment) mentre Music se ne stava in quella di rue des Vignes (XVI arrondisse­ment). Ognuno, in simbiosi coi propri colori e coi propri fantasmi.

Due case-studio anche a Venezia — stavolta nello stesso edificio —, il Palazzo Balbi-Valier, nei pressi del ponte dell’Accademia, dove spesso hanno ospitato l’amico François Mitterrand, talvolta accompagna­to dalla figlia «segreta» Mazarine.

«Una convivenza stimolante, ma spesso dolorosa — scriverà Pierre Rosenberg sul “Corriere” —. Com’è possibile, infatti, resistere alla forte personalit­à di Zoran (…) senza perdere la testa, contro i venti e le maree: la testa della creazione personale»?

Ci vorrà qualche tempo, ma la «liberazion­e» arriverà comunque e oggi Ida, a 95 anni, può sedersi tranquilla su una delle sue seggiole (anni Cinquanta) che, invece, una volta tanto, erano servite ad ispirare la tavolozza di Music.

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