Le indagini parallele del pm antimafia
Accuse a Donadio, oggi alla commissione Moro: 119 interrogatori all’insaputa dei colleghi
Le indagini «parallele» del pm prevedevano colloqui con pentiti, inquisiti e testimoni per sollecitare nuove letture sulle stragi di mafia, ma senza che i titolari delle inchieste sapessero nulla. Per questo contro il magistrato Gianfranco Donadio, già sostituto procuratore nazionale antimafia e oggi consulente della commissione d’inchiesta sul caso Moro, è scattato un procedimento disciplinare.
È andato in giro per carceri e «luoghi riservati» a parlare con pentiti, inquisiti e testimoni, per sollecitare nuove letture sulle stragi di mafia, senza che i titolari delle inchieste ne sapessero nulla; raccoglieva dichiarazioni che non coincidevano con quelle rese all’autorità giudiziaria, finendo per rendere più difficile il lavoro degli inquirenti; chiedeva informazioni agli organi di polizia, dando vita a una vera e propria «indagine parallela» non prevista dalla legge. Per questo nei confronti del magistrato Gianfranco Donadio, già sostituto procuratore nazionale antimafia e oggi consulente della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, è stato avviato un procedimento disciplinare.
L’atto d’accusa, promosso dalla Procura generale della Cassazione e comunicato al Consiglio superiore della magistratura, fa riferimento a due presunte violazioni: la norma che impone alle toghe di esercitare le funzioni «con correttezza, diligenza e equilibrio» e quella che prevede sanzioni per «la reiterata o grave inosservanza delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti». Con la sua attività sugli attentati del 1992 e altri fatti collegati, invece, Donadio non avrebbe rispettato le regole fissate dal procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna in materia di colloqui investigativi, poi ribadite e rese ancor più stringenti dall’attuale responsabile della Dna Franco Roberti.
Sullo sfondo ci sono le nuove rivelazioni sulla strategia della tensione mafiosa avviata con gli eccidi in cui morirono Falcone e Borsellino (o anche prima con l’omicidio Lima, secondo la ricostruzione che ha portato al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia); in particolare quelle del pentito Gaspare Spatuzza. Nonostante su questi fatti lavorassero già cinque Procure (Palermo, Caltanissetta, Firenze, Catania e Reggio Calabria), tra il 2009 e il 2013 Donadio, su delega dell’allora superprocuratore Pietro Grasso, avviò proprie ricerche da sottoporre poi agli uffici competenti come atti d’impulso. In particolare sul coinvolgimento del cosiddetto «mostro», ipotetico personaggio collegato ai servizi segreti e con un ruolo costante in diversi delitti, successivamente identificato in un ex funzionario di polizia.
Il magistrato della Dna ha inoltrato più di 600 richieste di informazioni alla polizia giudiziaria e utilizzato la procedura dei colloqui investigativi — ben 119, di cui 104 da solo — nei confronti di persone già sottoposte a indagini, fra i quali 56 collaboratori di giustizia; redigendo verbali che — secondo l’accusa della Procura generale — non sempre corrispondevano alle dichiarazioni raccolte, mostrando fotografie in cerca di riconoscimenti. Dopodiché trasmetteva i risultati agli inquirenti «ufficiali», non avvisati in precedenza, che si ritrovavano fra le mani risultati diversi da quelli acquisiti autonomamente;
per esempio pentiti che a loro avevano detto una cosa e a Donadio risultava avessero confessato altro. Con l’effetto di minarne l’attendibilità e pregiudicare l’esito delle inchieste. Un’interferenza al limite del depistaggio, seppure involontario, secondo l’accusa.
Di qui la decisione dei procuratori di Caltanissetta Sergio Lari (oggi procuratore generale) e di Catania Giovanni Salvi (oggi pg a Roma) di chiedere l’ascolto dei nastri originali dei colloqui investigativi, rilevare diverse anomalie e denunciare il tutto al superprocuratore Roberti (succeduto a Grasso, che aveva revocato la delega a Donadio). Roberti ha trasmesso la relazione alla Procura generale, che qualche mese fa ha deciso di avviare il procedimento disciplinare. In passato il Csm s’è già occupato dell’indagine parallela di Donadio, arrivando ad archiviare l’ipotesi della «incompatibilità ambientale» per il pm: siccome sul piano giuridico i colloqui investigativi non hanno valore, non ci furono né inquinamento di fonti né invasioni di campo. Ora invece s’è aperto il versante disciplinare. Nel frattempo il magistrato ha cambiato impiego: dalla Procura nazionale antimafia è passato alla commissione Moro, come consulente dei parlamentari inquirenti. Dove pure sta conducendo un’intensa attività di interrogatori e rilettura di vecchi documenti; fra quelle che da ultimo hanno avuto più risalto, la testimonianza del capo camorrista Raffaele Cutolo, sedicente custode di segreti sul sequestro del presidente democristiano, che aveva già testimoniato, sugli stessi fatti, più volte e di fronte a magistrati diversi, all’inizio degli anni Novanta.
Procedimento disciplinare Tra il 2009 e il 2013 Donadio ha avviato ricerche su fatti oggetto di indagine in cinque Procure Oggi è alla commissione Moro