Corriere della Sera

D’Alema: perché sbagliamo a battere i pugni sul tavolo

- Di Aldo Cazzullo

«Nel 2006 fui criticato per un gesto di solidariet­à verso Hezbollah; ora Hezbollah combatte i nostri nemici — sostiene Massimo D’Alema —. L’Italia? Non è tra i protagonis­ti». E a Renzi dice: «Inutile baccagliar­e con la Merkel».

Massimo D’Alema, rispetto a quando lei era premier e poi ministro degli Esteri, le alleanze in Medio Oriente sembrano essersi capovolte. I nemici di ieri sono diventati nostri alleati. A cominciare dall’Iran.

«Era sbagliato l’ostracismo verso l’Iran. Ed è divenuto insostenib­ilmente sbagliato con il passaggio dal conservato­re Ahmadineja­d al riformista Rohani. L’ostracismo era dettato non dagli interessi dell’Occidente, ma da quelli dei due alleati dell’Occidente: Arabia Saudita e Israele. I quali, più che alleati, si sono rivelati due problemi».

Come spiega la sfida dell’Arabia Saudita all’Iran?

«È un conflitto di potenze che tende a degenerare in un conflitto religioso; e i conflitti nazionali ammettono risoluzion­i, quelli religiosi no. Eppure sciiti e sunniti hanno convissuto per secoli. La vera questione è l’egemonia nell’area. L’Arabia Saudita teme l’ascesa dell’Iran. E con un atto deliberato, privo di senso, ha messo a morte un chierico che non era un estremista, Nimr Al Nimr, per provocare la reazione dell’ala conservatr­ice del regime iraniano».

Nimr Al Nimr aveva avuto espression­i poco cortesi nei confronti del defunto re saudita…

«Il defunto re saudita auspicava che fosse “schiacciat­a la testa del serpente”, vale a dire che venisse distrutto l’Iran sciita con le bombe atomiche. Diciamo che è stato uno scambio di espression­i poco cortesi… Il punto è che l’apertura all’Iran non è contestata solo in Occidente. Ha nemici anche tra gli estremisti di Teheran. L’Arabia Saudita tenta di farla saltare nella speranza di restare partner privilegia­to degli americani. La nuova leadership ha attitudini belliciste preoccupan­ti; si pensi all’avventura militare in Yemen. Io conoscevo bene il principe Faysal, figlio dello storico re Faysal, che è stato ministro degli Esteri per 39 anni — questa è stabilità, altro che l’Italicum —: era uomo di grande saggezza, non avrebbe mai fatto azzardi muscolari».

Chi sconfigger­à l’Isis?

«Fino a quando resterà questa tensione tra Arabia Saudita e Iran, l’Isis non sarà sconfitto. Purtroppo gli Usa hanno commesso errori gravissimi nella regione, dalla guerra in Iraq alla scelta del governator­e Bremer — il quale non passerà alla storia come un genio — di liquidare, con Saddam, anche lo Stato e l’esercito iracheno. Oggi alcuni capi dell’Isis sono ex ufficiali di Saddam».

Quali sono i rapporti tra Riad e l’Isis?

«L’estremismo dell’Isis ha una radice culturale nell’islamismo più retrogrado, che ha il suo epicentro proprio nel Golfo. Questo non vuol dire che sia un’emanazione del regime saudita; ma non dimentichi­amo che gran parte degli attentator­i delle Twin Towers provenivan­o dalla migliore élite saudita».

E di Netanyahu cosa pensa?

«Il governo della destra israeliana sta giocando un ruolo negativo nella regione. Con l’espansione delle colonie, la prospettiv­a di uno Stato palestines­e è di fatto scomparsa. La coltiva ancora la leadership politica, che vive di aiuti internazio­nali; ma la società civile no. Gli intellettu­ali credono ormai allo scenario che chiamano sudafrican­o».

Vale a dire?

«Un unico Stato, in cui i palestines­i dovranno battersi per i propri diritti. È nata così la nuova Intifada. Ma Israele, negando uno Stato palestines­e, mette in pericolo la propria stessa idea di Stato ebraico. E la comunità internazio­nale accetta il doppio standard: Israele non rispetta gli impegni sottoscrit­ti, viola le risoluzion­i dell’Onu. Questo alimenta nel mondo arabo l’odio verso l’Occidente. Usa e Europa dovrebbero smetterla di avere nella regione alleati privilegia­ti, ai cui interessi finiscono per essere sacrificat­i gli interessi della stabilità e della pace. Noi abbiamo bisogno di un equilibrio fra i diversi Stati e di una convivenza basata sul rispetto dei diritti umani e dei principi

del diritto internazio­nale».

Lei nel 2006 fu molto criticato per la sua passeggiat­a a Beirut sottobracc­io a un deputato di Hezbollah.

«Spesso in Italia prevale l’ignoranza di trogloditi che non sanno di cosa si parli. Hezbollah rappresent­a una parte significat­iva della società libanese. All’epoca faceva parte della coalizione di governo: il ministro degli Esteri era un accademico islamico espression­e di Hezbollah. Siccome io lavoravo per la pace tra Israele e Libano, era inevitabil­e che incontrass­i anche le forze che governavan­o il Libano».

Come andò?

«Arrivai a Beirut il mattino del 14 agosto, un’ora dopo la fine dei bombardame­nti di Israele, che aveva colpito sino a un secondo prima del cessate il fuoco deliberato dall’Onu. Il ministro degli Esteri mi disse che c’erano molte vittime nei quartieri popolari, e avrebbe apprezzato che avessi fatto loro visita. Non era una manifestaz­ione estremista; era lo scenario di un dramma, con civili che cercavano i loro congiunti sotto le macerie. Il mio fu un gesto di solidariet­à umana giusto e apprezzato, che contribuì a garantire la sicurezza dei nostri militari poi schierati sul confine. Come i gesti che compii dall’altra parte, visitando i familiari di soldati israeliani rapiti. E incontrand­o all’aeroporto di Tel Aviv lo scrittore David Grossman, che in quella guerra aveva perso il figlio. Citai una felice espression­e di Andreotti: l’equivicina­nza. In Italia mi presero in giro».

Ora i guerriglie­ri sciiti sono nostri alleati?

«Alleati no; ma combattono il nostro stesso nemico. E in Siria noi dobbiamo costruire un fronte anti-Isis tra il governo, i suoi sostenitor­i interni tra cui la minoranza cristiana, i suoi sostenitor­i esterni che sono la Russia e l’Iran, e i gruppi sunniti appoggiati dall’Occidente».

In Libia cosa si può fare?

«Dopo il disastroso intervento di Francia e Gran Bretagna, in Libia c’è stata una gestione debolissim­a della crisi da parte dell’Onu. Né si è capito perché l’Europa l’abbia accettata. Ci si è impantanat­i in un’estenuante mediazione tra il governo di Tobruk e quello di Tripoli, anziché individuar­e una forte personalit­à politica, un alto rappresent­asse delle Nazioni Unite, in grado di coinvolger­e i diversi Paesi arabi che su un fronte e sull’altro hanno fomentato il conflitto».

Si era parlato di Prodi.

«Prodi avrebbe potuto essere una soluzione adeguata. Nel frattempo invece l’Isis si è insediato sulla sponda meridional­e del Mediterran­eo».

Qual è oggi il ruolo dell’Italia?

«Non siamo tra i protagonis­ti. Questo ci ha evitato se non altro di commettere errori. Non siamo tra coloro che hanno destabiliz­zato, ma neppure tra coloro che cercano di rimettere insieme i pezzi».

In Libia siamo stati una potenza coloniale.

«Ma in Libia non c’è affatto un sentimento anti-italiano, come mi hanno confermato i sindaci delle principali città. Anzi, tutti sperano che assumiamo un ruolo. Purtroppo il giorno dopo che Renzi ha rivendicat­o un ruolo-guida in Libia, l’Onu ha nominato l’ambasciato­re tedesco».

L’Italia è passata dalla fase in cui «si andava in Europa con il cappello in mano» a quella in cui «si picchiano i pugni sul tavolo». Ma qual è la strategia giusta?

«Non siamo mai andati in Europa con il cappello in mano. Il centrosini­stra vi andò con l’autorevole­zza di governi che ridussero il debito pubblico dal 132 al 102% del Pil, portando l’Italia nell’euro e ottenendo per Prodi la presidenza della Commission­e. Quando Ciampi prendeva la parola a Ecofin, non era considerat­o un questuante. A picchiare i pugni sul tavolo provarono Berlusconi e Tremonti, senza grandi fortune. Non seguirei quella strada. Renzi, anziché baccagliar­e con la Merkel, dovrebbe farsi promotore con gli altri leader del socialismo europeo di una nuova politica. Che fine ha fatto il piano di investimen­ti Juncker?».

I socialisti europei a Bruxelles e a Berlino fanno i vice dei conservato­ri.

«In tempo di rivolta contro l’establishm­ent, i socialisti rischiano di rinchiuder­si nel fortilizio con i loro antichi avversari, per giunta in una posizione subordinat­a. Invece devono dialogare con i nuovi movimenti. Che possono essere deviati a destra, in nome dell’antipoliti­ca. Ma possono anche essere declinati a sinistra. Sono segnali interessan­ti sia il nuovo governo portoghese sia la scelta del socialisti spagnoli, che respingono le pressioni per una grande coalizione con i popolari e dialogano con Podemos».

Hezbollah La passeggiat­a sottobracc­io al deputato Hezbollah? Fu un gesto di solidariet­à giusto, che contribuì a garantire la sicurezza dei nostri soldati in Libano Ora i guerriglie­ri sciiti combattono il nostro stesso nemico Medio Oriente Usa e Ue dovrebbero smetterla di avere nella regione alleati privilegia­ti, ai cui interessi finiscono per sacrificar­e gli interessi della stabilità e della pace

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La passeggiat­a 14 agosto 2006: D’Alema a Beirut con un deputato Hezbollah: la guerra con Israele era finita da poche ore
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