Banche, le novità per le cooperative
Un centinaio di Bcc su 363 presenta fragilità di bilancio. Senza un intervento in tempi brevi almeno 15-17 istituti sono a rischio nei prossimi diciotto mesi
La riforma delle banche di credito cooperativo: almeno cento istituti su 363 hanno fragilità di bilancio e, senza un intervento, 15-17 rischiano.
Nell’area euro i governi del Sud chiedono di mettere il debito in comune per condividere i rischi ed evitare nuove crisi localizzate in questo o quel Paese. La Germania non ci sta: teme che il suo bilancio venga contagiato dai problemi degli altri, quindi pretende un controllo strettissimo sulle scelte del Portogallo o della Grecia prima di cedere. Nel mondo delle 363 banche di credito cooperativo italiane (Bcc), fatte le debite proporzioni, sta accadendo esattamente lo stesso.
Il riassetto in cantiere
La riforma che Palazzo Chigi prepara e il governo potrebbe approvare entro metà febbraio tocca, sulla scala delle banche cooperative locali italiane, le stesse questioni che dividono l’area euro. Ormai è possibile stabilizzare i bilanci peggio gestiti solo addossandone i rischi ad altre aziende
più solide. Solo spingendo verso le Bcc sane in un vincolo di mutuo soccorso si riescono a salvare le altre, quelle malate. Potrebbe non esserci alternativa, se nel prossimo anno e mezzo l’Italia vuole evitare una nuova serie di piccole implosioni bancarie localizzate: la strada del salvataggio pubblico è infatti sbarrata dalle nuove norme europee, che obbligano a colpire gli investitori e i depositanti se c’è aiuto di Stato. Il governo deve trovare un’altra strada e non ce ne sono molte: con un sistema chiuso basato sul principio “una testa-un voto”, e una redditività media appena all’1%, oggi le banche di credito cooperativo non sono in grado di trovare risorse fresche sul mercato.
Come fra i governi dell’area euro, resta giusto da capire se mettere in comune bilanci bancari sani con quelli malati risolverà i problemi - e rimuoverà i corrotti e incompetenti - oppure contagerà le aziende in salute e le renderà più fragili.
Dipende dai dettagli di una riforma carica di rischi anche politici. A maggior ragione lo è perché gran parte delle Bcc più robuste sono basate al centro-nord, mentre quelle più bisognose di aiuto dalle altre sono al Sud. Probabile però che il governo non si fermi: creare una capogruppo-ombrello sotto cui si trovino tutte le Bcc, sulla base di una rete di garanzie incrociate fra di esse, appare oggi a Palazzo Chigi la soluzione obbligata per mettere in sicurezza le frange più esposte e spingere il credito cooperativo verso il ventunesimo secolo. Non ci è del tutto, per ora. E non tanto perché Alessandro Azzi, presidente della federazione nazionale di settore, guida la sua Bcc del Garda da quando Bettino Craxi sedeva a Palazzo Chigi e Federcasse dai giorni del settimo governo di Giulio Andreotti. Oggi il credito cooperativo conta per il 6% degli attivi bancari in Italia ma ben il 15% degli sportelli. È un protagonista di quella stranezza - notata da Alberto Gallo di Rbs – per cui in Italia gli sportelli bancari oggi sono più numerosi degli alberghi, il doppio delle farmacie e quasi il doppio degli asili d’infanzia
Le criticità
Soprattutto, stanno emergendo qua e là nuove situazioni critiche. Alcune sono state risolte in silenzio tramite acquisizioni a fine 2015. La Bcc di Roma ha preso controllo della Bcc Padovana, a dimostrazione che non è sempre il Nord a salvare il Sud; e il mondo cooperativo del Trentino ha assorbito la Bcc di Folgaria. Ma soprattutto in certe regioni del Mezzogiorno, restano fra 15 e 17 aziende di credito cooperativo in situazioni tali che il loro funzionamento nei prossimi diciotto mesi è in dubbio. Un altro centinaio di Bcc, su 363, potrebbero poi rivelare problemi se e quando saranno sottoposte a un esame severo.
Le tappe
Per farvi fronte, si lavora a una riforma per tappe. In primo luogo, si stabilirebbe un livello minimo accettabile di fondi propri: se fosse anche solo di 50 milioni, oltre metà delle Bcc sarebbero sotto e dovrebbero aggregarsi fra loro. La scelta della soglia alla fine spetterà al premier Matteo Renzi. Quindi si pensa di costituire una holding centrale con un proprio consiglio d’amministrazione e uno staff; sotto quell’ombrello tutte le Bcc continuano a operare con i propri manager e il proprio bilancio, ma legate da un vincolo di garanzia reciproca. Le varie Bcc eleggono il vertice della holding, di cui sono azioniste, ma non saranno su piede di parità: chi ha patrimoni più robusti, meno crediti in default e un governo societario sano sarà più indipendente; gli altri saranno via via più commissariati.
Le Bcc più grandi e sane, se non vogliono garantire per le altre, potranno tenersi fuori e trasformarsi in banche popolari. Candidate sono le Bcc di Bologna, del Chianti o di Cambiano, ma per loro non sarà un pasto gratis: se si sottraggono, dovranno versare una quota importante delle loro riserve alla nuova holding (quanto, decide Renzi) perché quest’ultima non nasca troppo debole. Il rischio che Bruxelles contesti un aiuto di Stato, bloccando tutto, è evidente.
Esistono anche altri problemi. Il più immediato è che la holding nasca priva di denti, controllata dalla politica locale, e l’intero sistema finisca per salvare il posto ai manager che hanno fatto più danni in questi anni. Vincerebbero gli inefficienti e i malati. L’altro rischio è nella vigilanza: poiché questo diventerà il terzo gruppo bancario italiano, il controllo spetta alla Banca centrale europea e potrebbe rivelarsi molto duro su mille storture del credito nei territori d’Italia.
Palazzo Chigi ha presenti i rischi, ma va avanti. Sa che ha l’occasione per forzare tempi e modi di una svolta, se tutti i tasselli andranno al loro posto. E sa anche che non ha altra scelta.
Quel gap Nord e Sud Gran parte delle Bcc più robuste sono al Centro Nord, quelle che hanno bisogno di aiuto al Sud
L’ipotesi di riassetto Si pensa di costituire una holding centrale con un proprio consiglio e personale