«Sala è un vero civil servant Potrà dare continuità a quanto fatto da Pisapia»
Veronesi: Milano è in grado di diventare un modello
aperto, ricco di valori democratici e orientato all’innovazione, può dare continuità e sviluppare tutto ciò che di civilmente avanzato ha realizzato Giuliano Pisapia».
Come è cambiata Milano in questi anni?
«Dopo 90 anni vissuti tutti in questa città, credo di potermi definire un esperto conoscitore della milanesità. Va chiarito che è inutile cercare di incasellare i milanesi in categorie: la borghesia dei salotti, i radical chic, i supermanager, quelli dei centri sociali, quelli delle periferie, e così via. Esiste piuttosto un modo di essere e di interpretare il mondo, che è tipico di questa città».
Per incarnare questa «milanesità», che caratteristiche deve avere il prossimo sindaco?
«Anzitutto un grande ottimismo. I milanesi sono produttivi, con una profonda visione etica del lavoro, un forte senso della giustizia sociale, della trasmissione del benessere alle generazioni future e con un rispetto totale della civiltà, dei diritti, della tolleranza e della solidarietà. Secondo me Sala incarna, anche, questa visione rifiutando gli stereotipi e le etichette che tutti ora si affannano ad appiccicargli addosso. E poi ha a cuore il tema della cultura, essenziale per un grande rilancio».
Ma un manager può diventare un bravo amministratore?
«È un manager di successo con grandi prospettive di carriera che ha scelto di partecipare alla gestione della vita pubblica, e ha fatto, a mio parere, una scelta di civiltà che chiunque, potendo, dovrebbe fare. Personalmente ho attuato questo principio, accettando di essere ministro della Sanità nel 2000 e poi senatore nel 2008 e incoraggio continuamente anche i miei figli a seguire questo esempio».
Lei aveva parlato a suo tempo di «civil servant». Questo il modello?
«Direi proprio di sì. E Sala ha dimostrato non solo di volere, ma soprattutto di sapere essere civil servant all’inglese, prendendosi sulle spalle il rischio di Expo, su cui gravavano grande scetticismo e grandi problemi organizzativi. Ma anche qui dobbiamo andare oltre le etichette: il suo merito non è solo organizzativo, ma di aver saputo fare di un’esposizione l’occasione
Inutile incasellare i milanesi: borghesi, radical chic... Ma c’è un modo di interpretare il mondo tipico di questa città, un grande ottimismo
di apertura internazionale per la città. E quindi, soprattutto, di aver riacceso la fiducia nel futuro».
Perché? Si era persa?
«Dal Dopoguerra ad oggi ho osservato che in realtà l’attitudine all’impegno e la produttività dei cittadini non ha mai perso il suo ritmo. Ciò che si è persa è la fiducia in se stessi, e questo ha creato una sottile sofferenza. Milano si è sempre sentita la capitale morale d’Italia fino a che Tangentopoli ha dimostrato che esisteva anche qui un’attività tutt’altro che morale. Gli scandali, che si sono poi ripetuti di recente, hanno creato una crepa nella tradizione culturale dei milanesi, che è di mecenatismo e di fiducia nelle idee. Sono convinto che con Sala quella fiducia può ritornare, perché lui stesso ci crede».
Un consiglio che darebbe ai candidati?
«Di puntare sui giovani. Certo, tutti lo fanno in campagna elettorale, ma io sono convinto che Sala manterrà le sue promesse, perché crede in questa generazione. Lui pensa, come me, che ci troviamo di fronte alla migliore generazione italiana da molti decenni e che Milano potrebbe anche diventare polo d’attrazione per i giovani stranieri soprattutto dall’ Est: dal Mediterraneo al Medio Oriente, fino all’India. La tradizione delle famiglie più abbienti di mandare i figli a studiare in Gran Bretagna, potrebbe cambiare a favore dell’Italia, e in particolare delle nostra città».