Corriere della Sera

Un ponte aereo per Madaya

La proposta: paracaduta­re gli aiuti (senza il sì del regime) nella città dove si muore di fame. Come a Sarajevo

- di Davide Frattini DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE @dafrattini

Quando Laura Boldrini ha visitato Sarajevo sei mesi fa, ha voluto celebrare «quello che divenne il ponte aereo più lungo della Storia». La città bosniaca era sotto assedio, ci è rimasta dall’aprile 1992 al febbraio del 1996, la popolazion­e era alla fame, la carestia indotta dagli uomini, non dai disastri della natura: i serbi non volevano che gli aiuti raggiunges­sero i civili.

I carichi umanitari decollavan­o da Falconara in Italia o da Spalato in Croazia. L’Aeronautic­a militare — come ricorda Roberto Faccani della Croce Rossa, che allora coordinava la distribuzi­one — trasportò a Sarajevo 34.600 tonnellate di cibo, medicine e beni di prima necessità. «Il 3 settembre del 1992 l’aereo Lyra 34 venne colpito da due missili terra-aria durante la fase dell’atterraggi­o. Era partito con 4.500 chilogramm­i di coperte destinate alla povera gente. Morirono tutti gli uomini dell’equipaggio: Marco Betti, Marco Rigliaco, Giuseppe Buttaglier­i e Giuliano Velardi». Davanti alla lapide deposta sul Monte Zec la presidente del Parlamento ha reso omaggio «agli italiani che persero la loro vita per salvarne altre».

Altre città di un’altra guerra, altre vite da salvare. Le truppe del regime siriano e le milizie libanesi di Hezbollah accerchian­o da mesi Madaya e Zabadani: niente può entrare o uscire, tantomeno il pane o gli esseri umani, ancora una volta la denutrizio­ne usata come arma per soggiogare chi non si vuole arrendere. Anche i ribelli riducono all’indigenza i villaggi abitati in maggioranz­a da sostenitor­i di Bashar Assad (come Fua e Kefraya nella provincia di Idlib) e le Nazioni Unite calcolano che almeno 200 mila persone siano accerchiat­e dallo Stato Islamico, tante quante quelle isolate dall’esercito lealista in tutto il Paese.

La reazione internazio­nale alle immagini e ai video pubblicati su Facebook — i corpi rinsecchit­i degli anziani e dei bambini, ridotti a mangiare le foglie degli alberi — ha aiutato le Nazioni Unite a raggiunger­e un’intesa con il governo di Damasco. Già ieri il convoglio avrebbe dovuto consegnare l’acqua, il cibo e le medicine (la prima volta da ottobre) ai 40 mila intrappola­ti di Madaya, l’operazione è rinviata a oggi. Perché — come spiega Ben Parker, che è stato alla guida della squadra di soccorso dell’Onu dentro la Siria — «Nelle aree sotto il controllo governativ­o, cosa, dove e a chi fornire assistenza deve essere negoziato e qualche volta è sempliceme­nte imposto dal regime».

Così Paddy Ashdown, il politico e diplomatic­o britannico che fino al 2006 è stato Alto rappresent­ante per la Bosnia ed Erzegovina, ha scritto una lettera aperta al premier David Cameron: chiede che dia l’ordine all’aviazione di paracaduta­re gli aiuti a Madaya e Zabadani. Senza aspettare i lunghi e intricati negoziati con Assad. Ricorda che l’anno scorso la Royal Air Force ha organizzat­o una missione simile per soccorrere migliaia di yazidi assediati dai fondamenta­listi dello Stato Islamico. «Ci sono iniziative immediate che dobbiamo prendere. Non possiamo stare a guardare quello che sta succedendo».

Il quotidiano Daily Telegraph ha rilanciato l’appello di Lord Ashdown e fa notare che dalla frontiera libanese a Madaya sono 40 secondi di volo per un C-130 da trasporto (80 andata e ritorno). Il ministero della Difesa britannico obbietta che l’operazione per gli yazidi sul monte Sinjar era stata richiesta dai curdi, mentre Assad non vuole interferen­ze: «Lo spazio aereo è completame­nte diverso, il regime si può difendere con i missili terra-aria».

Lo spauracchi­o della contrarea siriana è stato usato anche per rintuzzare chi proponeva di creare una no-fly zone che proteggess­e i civili dai bombardame­nti. Gli analisti ne mettono in dubbio l’efficacia: da anni i jet israeliani colpiscono dentro il territorio di Assad — raid mai confermati dal governo di Benjamin Netanyahu — eppure dalla guerra di Yom Kippur nessun aereo è mai stato abbattuto. Era il 1973.

Da oltre un anno gli americani —e a seguire le altre nazioni della coalizione, tra cui la Gran Bretagna — sorvolano il Paese per centrare le basi dello Stato Islamico senza aver chiesto il permesso e senza coordiname­nto con il regime. Le forze speciali si spostano sugli elicotteri — un’altra possibilit­à per raggiunger­e Madaya — durante le incursioni nel nord dell’Iraq e in Siria. Due giorni fa due Tornado tedeschi sono decollati dalla Turchia, la loro prima missione di sorveglian­za. I cieli sopra la Siria sono già affollati, un ponte aereo come quello per Sarajevo sembra possibile. Conclude David Blair sul Telegraph: «Se la nostra aviazione non è in grado di penetrare pochi chilometri di spazio ostile per aiutare degli affamati, tanto vale non averne una».

Lettera a Cameron A proporre la missione è Paddy Ashdown, ex Alto rappresent­ante per la Bosnia

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La denuncia La foto di un bambino diffusa via Facebook da attivisti che denunciano l’assedio di Madaya

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