«So cos’è la malattia Adesso mi batterò per cure più eque»
Melazzini, affetto da Sla: così guiderò l’Aifa
Il primo ingresso da presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) nello storico palazzo di via del Tritone a Roma, Mario Melazzini l’ha fatto pochi giorni fa con un obiettivo preciso: capire quali problemi potrebbe avere con la sua sedia a rotelle. Il nuovo uomo del farmaco in Italia, nominato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin dopo le dimissioni di Sergio Pecorelli per le accuse di conflitto di interesse, è un medico di 57 anni con la sclerosi laterale amiotrofica. I malati di Sla sono spesso in condizioni disperate: tracheotomizzati, muti, paralizzati e nutriti con un sondino. L’aspettativa media di vita non supera i tre anni. Melazzini, a quasi 14 anni da quel 17 febbraio 2002 quando il piede sinistro non è riuscito ad agganciare il pedale della bicicletta per i 40 chilometri di corsa quotidiana, ha accettato l’ennesima sfida: mettersi al timone di un mercato che muove 30 miliardi di euro e che decide con quali medicine dobbiamo curarci. La sua scommessa ora è di riuscire a fare arrivare a tutti anche i farmaci più costosi e innovativi, spesso considerati insostenibili economicamente per ampie platee di pazienti, come quelli per l’Epatite C: «So che cosa vuole dire essere malati — dice al Corriere —. Spenderò tutto me stesso per l’equità delle cure, una battaglia peraltro già iniziata dall’attuale direttore generale di Aifa Luca Pani».
Non è un superuomo, Melazzini. Il Libro di Giobbe sempre sul comodino (la vita del personaggio biblico è provata da un dolore inspiegabile), il suicidio assistito già prenotato nell’estate del 2003 in una clinica svizzera (dove non si è mai presentato), il bisogno costante di badanti che lo lavino, lo preparino per la notte, gli somministrino le medicine e lo attacchino al ventilatore e alla pompa per nutrirsi, il medico conosce il senso del limite: «A un certo punto ho cominciato a non guardare più indietro — racconta Melazzini nell’ultimo libro, Lo Sguardo e la Speranza —. Ma a chiedermi che cosa, anche nelle condizioni in cui ero, avrei potuto fare». Il suo futuro, dopo l’incarico da assessore alla Ricerca della Lombardia che lascerà per l’Aifa, è il mercato dei farmaci: l’Agenzia si occupa dell’immissione in commercio dei medicinali, controlla la loro sicurezza e regola la spesa farmaceutica. «Con il costo dei farmaci crescente, siamo davanti a una sfida culturale epocale — osserva —. Bisogna promuovere anche negli ospedali l’utilizzo dei medicinali generici e biosimilari (che si possono mettere sul mercato dopo che è scaduto il brevetto di quelli di marca, ndr). In questo modo, con i soldi risparmiati si potranno avere le risorse da investire per cure come quella dell’Epatite C. Oggi, proprio per motivi finanziari, i pazienti che possono essere curati da questa malattia, e non solo, sono i più gravi. Un domani dovranno esserlo tutti. Stesso principio vale per le malattie rare». Medico Mario Melazzini, 57 anni, si è laureato in medicina nel 1985 e in seguito specializzato in ematologia (foto Imago economica)
Nel giugno 2013 Melazzini è stato portato in Tribunale da altri malati di Sla, riuniti nel Comitato 16 novembre. L’hanno accusato di speculare sulla malattia: «Chiunque migliori come è successo a lui — è stata la denuncia — a detta di qualunque luminare non ha contratto la Sla » . È la vicenda, smontata nelle aule del Tribunale dov’è stata confermata la diagnosi, che più di ogni altra ha addolorato il medico, tornato a gesticolare con la mano destra. Ma Melazzini è abituato a non sottrarsi alle polemiche. Da assessore lombardo alla Sanità, nel 2012, ha affrontato uno dei temi etici più delicati: in quali casi è corretto somministrare farmaci anche a malati terminali e in quali invece è giusto fermarsi. «Non vuole dire non offrire le cure — spiega —. Ma bilanciare bene l’efficacia della terapia e la qualità della vita con i costi». E adesso Melazzini assicura che affronterà di nuovo la spinosa questione da presidente Aifa. «Sono abituato a far parlare i fatti», sottolinea prima di bere il suo classico cappuccino bollente: «Dev’essere caldissimo per aggiungerci un addensante, altrimenti soffocherei».
La sfida A un certo punto ho smesso di guardare i miei limiti e mi sono chiesto cosa potevo fare