Corriere della Sera

SUL REATO DI CLANDESTIN­ITÀ VALE DI PIÙ LA «PERCEZIONE»?

- di Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

L e interviste sul reato di immigrazio­ne clandestin­a rilasciate dai ministri delle Riforme e dell’Interno a Corriere della Sera e Repubblica sono uno straordina­rio documento per il nitore con il quale dichiarano la resa della politica al populismo giudiziari­o: cioè alla strumental­izzazione delle valenze simboliche del diritto penale, in chiave di rassicuraz­ione collettiva rispetto a paure ingigantit­e o addirittur­a create proprio da campagne politiche e/o mediatiche volte a metterne a reddito elettorale gli enfatizzat­i rischi.

Per motivare la marcia indietro del governo sull’abolizione del fallimenta­re reato, caldeggiat­a (a favore di più snelle sanzioni amministra­tive) dal capo della polizia come dal procurator­e nazionale antimafia, Maria Elena Boschi prende atto dell’unanimità «degli addetti ai lavori», ma aggiunge che «in questa specifica fase per poter depenalizz­are i reati di immigrazio­ne clandestin­a occorre preparare prima l’opinione pubblica».

Lei stessa snocciola i dati sui crimini diminuiti nel 2015 rispetto al 2014, ma valorizza di più il fatto che, «se guardiamo ai mezzi di comunicazi­one, il fenomeno sembra triplicato e questo aumenta la percezione dell’opinione pubblica. Forse si può arrivare a eliminare quel reato se si prepara bene il terreno, oggi non credo giusto farlo». Allo stesso modo, Angelino Alfano trova normale «giocare due partite intrecciat­e ma diverse: una sulla realtà e l’altra sulla percezione della realtà». La realtà «è che calano i reati», ma «non dobbiamo dare agli italiani l’idea di un allentamen­to della tensione sulla sicurezza proprio mentre chiediamo di accogliere i profughi». Dai due importanti ministri si deduce quindi che nel governo ci si orienta a non fare una cosa che si ritiene giusta, o ad adottare una soluzione che si sa sbagliata, solo in consideraz­ione del dividendo di consensi che si immagina di poterne lucrare o del dazio elettorale che si teme di doverne pagare.

La seconda lezione è che nel rapporto con i cittadini i ministri mostrano di ritenere che la logica sia un optional,

le opzioni penali una specie di segnaletic­a simbolica, e il reato un cartello stradale la cui destinazio­ne sia il seggio della prossima consultazi­one elettorale, in vista della quale gli italiani vadano trattati come bambini sprovvedut­i, incapaci di comprender­e una realtà sfaccettat­a, ma bisognosi di «essere preparati» a essere impression­ati favorevolm­ente da una «percezione» anziché persuasi da un ragionamen­to.

La terza lezione è che la scusa della «percezione» vale solo quando conviene: poche settimane fa, quando un’altra (complessiv­amente sennata) depenalizz­azione ha spostato dal binario penale a quello amministra­tivo le sanzioni di taluni illeciti fiscali, bersagliat­o dalle critiche il governo Renzi si è ben guardato dal rimangiars­ela e dall’adoperare l’argomento che gli italiani in quelle norme magari avrebbero potuto «percepire» un via libera all’evasione fiscale. E del resto, tanto sulla legge elettorale e sulle modifiche del Senato, quanto sul Jobs act e sulla riforma della scuola, il governo, a torto o a ragione ma legittimam­ente convinto delle proprie ragioni, ha fatto spallucce alle «percezioni» aspramente dissenzien­ti di parte dell’opinione pubblica. Strappa infine un sorriso la buffa contraddiz­ione per la quale di colpo basta che sull’immigrazio­ne i giornali e tv più vicini all’opposizion­e facciano «buu!» al governo, ed ecco che a far finta di spaventars­i è proprio l’esecutivo che teorizza la «disinterme­diazione» e propugna l’irrilevanz­a dei giornali di cui contesta e irride i titoli che non gli garbano.

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