LO SCRITTORE HEMON STRONCA IL TARANTINO «PSICOPATICO»
Stanley Kubrick ha definito, con Arancia Meccanica, i parametri di una questione destinata ad accompagnarci finché esisterà il cinema. Quanta violenza si può mostrare sullo schermo, e con quali modalità, prima di arrivare al voyeurismo, alla complicità dello spettatore? Il dibattito è tornato, prepotente, ieri su Twitter grazie allo scrittore Aleksandar Hemon, bosniaco naturalizzato statunitense (@sashahemon) che ha massacrato The Hateful Eight, il nuovo, violentissimo film di Tarantino (in uscita in Italia il 4 febbraio), con una raffica di tweet. «Psicopatico senza talento», «Non ha mai smesso di masturbarsi nel retro di una videoteca», «misogino», «la sua paura del silenzio è paura degli esseri umani», «i suoi personaggi sono il nulla » , «grave patologia», «i suoi personaggi sono insetti chiusi in una scatola di fiammiferi», «un’orgia di annientamento dei corpi degna di de Sade», «normalizza la tortura». Ultimo tweet: «Tarantino se ne vada aff…».
Una «recensione», quella dello scrittore (tra le sue opere Amore e ostacoli e Il libro delle mie vite, editi da Einaudi) che tra l’altro è piena di «spoiler» che rivelano molto del finale del film (i lettori sono avvisati). Di sicuro gli insulti non aiutano ad analizzare un film — o un testo — ma indubbiamente The Hateful Eight è fatto per provocare reazioni forti, di entusiasmo o rifiuto.
Tarantino con il suo western — l’azione avviene quasi per intero, a parte il prologo e qualche flashback, in un solo ambiente durante una tempesta di neve — ci provoca ancora una volta. Ventiquattro anni fa l’abbiamo conosciuto grazie a Le iene: uno dei rapinatori mozzava un orecchio a un poliziotto prima della mattanza finale. E poi, attraverso gli anni, la testa che esplode in Pulp Fiction, le sciabolate di Kill Bill, l’orrore di Django Unchained. Sono film realistici? Difficile sostenerlo: è pop art della violenza, il sangue usato come un elemento della tavolozza. Godard, idolo di Tarantino, diceva del suo film con Belmondo: «Non c’è violenza in Pierrot le Fou. C’è soltanto il colore rosso».