Cacciatore onirico Lo psicologo Roc Morin gira il mondo a farsi raccontare i nostri sogni: eccone dieci
Della sua figura storica si sa soltanto che fu messo a morte ad Atene (con l’accusa di empietà) nell’anno di Lachete, cioè a dire nel 399 a.C. Il peso che Socrate, grazie all’opera di Platone, ha avuto nella storia del pensiero va tuttavia ben al di là delle «carte». E lo ricorda con argomenti cogenti e prosa felice lo studioso inglese Alfred Edward Taylor in un classico della storiografia filosofica ( Socrate, pp. 90, 14,50) che opportunamente Castelvecchi rimanda in libreria con la traduzione di Michele Bruni
In fondo all’anima c’è la fiaba e la pittura è fiaba. Lo sapevano i latini con Orazio, che scriveva: «Ut pictura poiesis», ovvero la pittura è come poesia, poesia muta, fatta di colori. Tenersi sul comodino il libro di Philippe Daverio Il gioco della pittura. Storie, intrecci, invenzioni (Rizzoli) è come mettersi vicino le favole di La Fontaine. Vi si raccontano 50 artisti, 50 storie con 500 immagini. Ogni capitolo è una narrazione di poche pagine, da leggere prima di dormire. Un viatico per il sogno; talvolta, con Bosch e Brueghel, anche per l’incubo; infine, con Michelangelo, per l’estasi.
Un libro leggero, volatile, fatto di brevi storie d’arte. Un insieme di percorsi visivi che mettono in gioco assonanze e invitano a perdersi in fantasticherie. Troviamo qui il Daverio che si conosce anche in tv, nelle presentazioni colte e nell’intrattenimento erudito. Un curioso settecentesco, un po’ collezionista e un po’ amateur,
che ricostruisce tra le pagine un ideale atlante delle Muse.
I quadri diventano dei tableau vivant, i loro personaggi prendono corpo e nome, iniziano a parlare. Contadini, spaccapietre, nobildonne… ciascuno ha una storia da raccontare. E c’è anche la politica. Prendiamo un esempio. Se la casa reale di Francia, nel crepuscolo dell’Ancien Régime, avesse capito meglio la pittura, forse non si sarebbe portata in casa un quadro di David come Il giuramento degli Orazi, che conteneva significati pericolosi per la casa reale. L’opera fu acquistata nel 1784 dal conte d’Angiviller, direttore del re, che scappò ad Amburgo dopo le accuse dell’Assemblea Costituente di aver dilapidato il pubblico denaro. Inoltre nel 1789 acquistò I littori portano a Bruto i corpi dei suoi figli, dove si narra che Bruto fece uccidere i figli perché avevano complottato per la restaurazione: questo divenne un manifesto del desiderio di Repubblica in una Francia che si stava preparando a ghigliottinare il monarca.
Se si vuole trovare uno spunto interpretativo,
Il libro di Philippe Daverio Il gioco della pittura. Storie, intrecci, invenzioni (pagine 448,
35) è edito da Rizzoli. L’autore, noto critico d’arte, è nato nel 1949 a Mulhouse, in Alsazia, e vive a Milano può colpire il legame che Daverio istituisce tra Botticelli e i Preraffaelliti. Botticelli era un fine analista di acconciature femminili. Le sue donne sono tutte bionde, come quelle che raffigurano le virtù cardinali e teologali affrescate cent’anni prima nel chiostro di Santa Maria Novella da Andrea di Bonaiuto. Ma ogni acconciatura sta a significare un carattere diverso, quando non un significato allegorico diverso. E così un quadro come L’allegoria della Primavera diventa palestra di sperimentazione di questi giochi simbolici attraverso le acconciature, l’intreccio delle dita, la mollezza delle vesti. Troviamo lo stesso gioco in Pollaiolo e in Piero di Cosimo.
E poi si arriva a Dante Gabriel Rossetti, che per chiamarsi veramente Preraffaellita «non può che innamorarsi, quattro secoli dopo, nel 1858, di Fanny Conforth, lei che sembra reincarnare una delle figure femminili di Botticelli, e ama pettinarsi». Un libro predidattico questo di Daverio, un invito all’educazione al gusto.