Corriere della Sera

Il volume a cura di Galli della Loggia Un’Italia fragile scossa dalle onde della modernità

- Di Antonio Carioti Marco Ostoni

Dove va l’Italia? Anzi, più radicalmen­te, ci sarà ancora un’Italia degna di questo nome, a lungo termine? Paiono domandarse­lo molti autori dei saggi inclusi nel volume Questo diletto almo Paese, a cura di Ernesto Galli della Loggia (Il Mulino), che raccoglie gli atti di un convegno organizzat­o dal ministero dell’Istruzione nel 2011, in occasione dei 150 anni dell’unità nazionale, con il concorso dell’Istituto italiano di scienze umane. Non c’è davvero nulla di celebrativ­o nei contributi scritti da studiosi italiani e stranieri. Affiora invece spesso la preoccupaz­ione per le difficoltà crescenti del sistema italiano in una fase storica concitata e conflittua­le.

Per esempio Paolo Macry teme che i poteri locali «finiscano per coltivare forme insidiose di reciproca lontananza e di insofferen­za sentimenta­le» fino a sviluppare «il pensiero recondito della rottura dell’unità». Un rischio accentuato dal fatto che, come segnala Francesco Barbagallo, l’interesse verso il problema del Mezzogiorn­o appare oggi alquanto evanescent­e. Intanto dall’estero lo storico francese Marc Lazar descrive un’Italia «sospesa», che fa da sismografo per scosse (si pensi all’ondata dell’antipoliti­ca) che poi si propagano nel resto d’Europa. Come se noi sperimenta­ssimo per primi, a causa di una struttural­e debolezza, i malanni di cui un po’ tutte le democrazie occidental­i, soprattutt­o quelle europee, finiscono per soffrire.

Ovvio che ci s’interroghi sulle origini storiche di questa fragilità. C’è anche chi, come Franco Cardini, ritiene che si possa parlare di «falsa partenza» in riferiment­o ai modi in cui si realizzò nel 1861 l’unità nazionale, con una soluzione verticisti­ca sostanzial­mente «estranea alla storia policentri­ca» della Penisola. Di certo, osserva Galli della Loggia, per tenere insieme questa costruzion­e è stato necessario investire molto sulla dimensione politica, assegnando­le un primato che ha indebolito l’autorità dello Stato e reso precarie le regole del gioco istituzion­ale: perciò, a suo avviso, la modernità italiana «ha sempre qualcosa d’incompiuto, di precario, d’incerto». Lo si vede bene nel campo della diplomazia, nota Angelo Panebianco, con la persistent­e difficoltà delle forze politiche a convergere su «una definizion­e condivisa dei nostri più vitali interessi nazionali».

Non tutti gli interventi però sono improntati a una vena pessimisti­ca. Sostanzial­mente positivo è, per esempio, il bilancio del percorso di costruzion­e dell’identità nazionale avviato nel Risorgimen­to secondo Giuseppe Galasso: l’autorevole storico napoletano considera la trama odierna dell’italianità «un nesso socialment­e e umanamente inestricab­ile». Mentre Roberto Esposito espone quelli che a suo avviso sono i punti di forza della nostra tradizione filosofica, tali da renderla particolar­mente attuale nell’ora presente: la capacità di pensare il momento politico anche «fuori dallo Stato»; il riconoscim­ento del conflitto e della contingenz­a come «il fondo dell’esperienza umana»; il senso del limite e la conseguent­e critica della «fiducia astratta» nel progresso; la consapevol­ezza che l’individuo non è mai un soggetto a se stante, ma vive costanteme­nte immerso in un ordito di relazioni sociali.

La nostra scarsa propension­e al senso dello Stato ci rende dunque vulnerabil­i, ma forse ci ha permesso di sviluppare antenne più adatte a captare i rivolgimen­ti provocati da una globalizza­zione che spazza via giurisdizi­oni e frontiere. Resta però da capire se e come riusciremo ad affrontarl­i. Il volume Questo diletto almo Paese è a cura di Ernesto Galli della Loggia, (Il Mulino, pp. 356,

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@A_Carioti La sua vita è stata romanzata da Emmanuel Carrère ma Paolo di Tarso, pilastro del Cristianes­imo benché tale non si ritenesse («aborto di Dio» si definì per aver perseguita­to i seguaci del Nazareno prima della conversion­e), è una figura che merita di essere conosciuta. Romano Penna ( Paolo, il Mulino, pp. 131, 11) ne traccia il profilo in un’agile biografia che aiuta anche a superare i luoghi comuni sull’uomo che per primo incarnò l’anima evangelizz­atrice della nascente Chiesa

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