«È l’unico che ti aiuta a scavare nell’anima del personaggio»
negli studi di Abbey Road (in uscita con il Corriere il 25 gennaio). Muti alla guida della Philharmonia Orchestra e l’Ambrosian Opera Chorus, cast stellare, accanto a Bruson ( Giorgio Germont) Renata Scotto (Violetta Valéry) e Alfredo Kraus (Alfredo Germont).
«Ricordo ancora le indicazioni del maestro, che mai si limita alla parte musicale ma ti aiuta a scavare anche nell’animo del personaggio. Perché Muti non è solo il grande musicista che sappiamo, ma anche un uomo di teatro, capace di intuizioni folgoranti. Spesso salvifiche, visto le follie sempre più insensate messe in atto dai nuovi registi». Un legame, quello con il direttore napoletano, che nasce molto prima di Traviata.
«La prima volta ci siamo incontrati nel 1970 a Firenze per Voce Il baritono Renato Bruson che compirà 80 anni il 13 gennaio un Ballo in maschera. Poi sono arrivati altri capolavori verdiani. Alla Scala un magnifico Macbeth, e poi l’ultimo memorabile Rigoletto… ».
Ricordi indelebili. «Ho vissuto gli anni d’oro della lirica, ho lasciato le scene un paio d’anni fa senza rimpianti. Oggi salgono sul podio troppe mezze calzette. E anche i cantanti… Li buttano in scena allo sbaraglio. I teatri non hanno più quei vociologhi capaci di individuare i veri talenti…». Per questo, a tutela del bel canto, Bruson ha accettato di diventare direttore didattico dell’Accademia di perfezionamento della Scala, fucina dei talenti di domani. Tra pochi giorni, il 13 gennaio compirà 80 anni. «Non mi impressionano, l’importante è avere buona salute e buona musica intorno. Senza musica la vita non sarebbe niente».
Festeggerà in famiglia e alla Scala. Che sabato gli renderà omaggio con una cerimonia aperta ai suoi infiniti ammiratori. «L’idea mi emoziona un po’… Anche se il modo migliore per celebrare un simile compleanno è continuare a lavorare. Stare tra i miei allievi dell’Accademia è il segreto per restare giovani».