I principi che rallentano la nostra giustizia
Si racconta con sgomento della giustizia lumaca ( Corriere, 6 gennaio), processi rinviati di vari anni, uno rimesso al 2019 da un giudice renitente a sottoporsi ai «lavori forzati». Si guarda soprattutto alle cause civili, ma la giustizia penale non scherza, i processi conclusi per prescrizione non si contano né gli innocenti prosciolti dopo anni d’ingiusto calvario. Nei progetti di riforma nulla di risolutivo si rinviene sul tema. Il nodo da sciogliere è la durata del processo, ma l’efficienza processuale non può essere accettata come una compressione delle garanzie spettanti all’accusato. Dunque, il problema è delicato. Nella fase delle indagini preliminari, i meccanismi processuali connessi alla contiguità di giudici e pm amputano alla difesa l’esile spazio di cui dispone. Si supplisce con un garantismo di tipo verticistico in un ritardante ginepraio di gravami, sconosciuto all’effettivo rito accusatorio, stante la parità delle parti dalla nascita dell’accusa. In Inghilterra, nel 1215 nasceva con la Magna Charta il processo accusatorio, divenuto il rito dei Paesi di common law. Nello stesso 1215 il IV Concilio Lateranense istituiva il processo inquisitorio. Secoli di diversità culturale che una legge non annulla. Di qui la crisi di rigetto del processo (semi)accusatorio introdotto da noi nell’88. Oggi la giustizia soffre uno stallo da cui bisogna uscire; andrebbe attenuato il principio di obbligatorietà dell’azione penale, che provoca un intasamento proibitivo. La Corte Costituzionale ha definito tale principio, il «punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale» (legalità, uguaglianza, indipendenza del pubblico ministero). Non può viversi di principi. Nei Paesi più rappresentativi dell’Unione Europea, Belgio, Francia e Germania, vige il principio di «opportunità», i cui parametri sono regolati dai vertici dell’ufficio d’accusa. Peraltro, una parziale obbligatorietà resta in Germania, ma solo per i delitti molto gravi. In Inghilterra, l’esercizio dell’azione penale è discrezionale. Da noi, da anni si studia e si parla intorno ad un principio di «priorità» sottoposto a regole uniformi, ma mentre il medico studia il malato muore. Altro momento di fermo del processo sta nell’antiquato regime delle notificazioni; finché non torna l’avviso di ricevimento (in un Paese dove la posta non funziona al top), si rinvia per cominciare da capo. Su queste cose, non so quante volte dette, si dovrebbe intervenire realizzando garanzie che non siano pretesti per non fare i processi ma una cintura di sicurezza per il loro sollecito e giusto esito.