Sbriciolati i fortini il fattore campo non è più un fattore
Sconfitto L’Inter di Roberto Mancini k.o. in casa (LaPresse)
Avremo pure trecento telecamere a partita e statistiche in tempo reale sui palloni toccati, ma qualcosa ci siamo persi per strada: fossimo al tempo della Sisal, staremmo tutti qui a chiederci dove un italiano completamente pazzo abbia centrato un tredici di queste proporzioni mastodontiche, sempre che qualcuno l’abbia centrato. Un nuovo nababbo come neanche Checco Zalone dopo tre ore di botteghino. La raffica di 2, diciamo noi ai nostri tempi, è epocale. Ci può stare tutto, nella vita. Ma nessuno avrebbe mai pensato che ci potesse stare tutto questo assieme, nella stessa giornata. Congiunzione astrale da anno bisestile? Decisamente no. Già da un po’ le vittorie fuori casa non sono poi così eclatanti. A dirla tutta, non siamo in presenza di eventi eccezionali, ma ormai di un fenomeno acclarato. Quanto meno, è il momento di decretare ufficialmente la fine di quella sacra istituzione che si chiama fattore campo. C’è tutta una letteratura mitologica su questo vantaggio di giocare in casa, al grido patriottico «il nostro stadio è un fortino». Bei fortini: si sbriciolano tutti come Fort Apache. Con un vantaggio, almeno. Impagabile. A Dio piacendo possiamo finalmente liquidare anche la spompata enfasi sul dodicesimo uomo in campo, come se davvero fossero i tifosi a decidere i risultati. Lasciami un po’ di spazio per il contropiede, poi ti faccio vedere io quanto conta il dodicesimo uomo in campo. Contropiede? Qualcuno ha detto contropiede? Sta a vedere che nell’era delle diagonali e della densità torna decisiva quest’altra gloriosa istituzione italiana. Ai supertecnici dei supercorsi le superspiegazioni. Quanto ai tifosi, possono solo ringraziare la nuova stravaganza del nostro campionato. Era già il più equilibrato, ora è pure il più pazzo. O forse è equilibrato proprio perché è pazzo. In ogni caso ce lo teniamo stretto: non sarà il più bello, ma è il migliore che possiamo permetterci.