La Rai torna alla missione del Servizio Pubblico con «Cose nostre»
Èun’operazione meritevole quella portata avanti da «Cose nostre», un’inchiesta in cinque puntate iniziata sabato sera su Raiuno (ore 23.40). Peccato confinarla in un orario semi notturno, perché in tempi di sciatterie e polemiche varie, è un programma che riconcilia la Rai con la missione del Servizio Pubblico.
L’idea di fondo è quella di raccontare le storie di cinque giornalisti italiani che vivono e lavorano con coraggio sul campo in territori «di confine», zone travagliate dalla presenza di mafie, illegalità, crimine organizzato. È importante che anche la tv faccia la sua parte nel non lasciarli soli. La prima storia è stata quella di Arnaldo Capezzuto, cronista di nera per alcune testate giornalistiche locali di Napoli: Capezzuto si è distinto in particolare per il racconto dei fatti che hanno scosso il rione di Forcella nel corso di una sanguinosa faida tra due clan, quello dei Giuliano e quello dei Mazzarella, culminata con la tragica morte della piccola Annalisa Durante, uccisa per sbaglio durante una sparatoria.
Capezzuto ha ricevuto minacce di morte, intimidazioni varie, ma ha continuato a fare il suo lavoro, giorno dopo giorno, scrivendo tanto e inventandosi una tecnica giornalistica basata sul pedinamento quotidiano della realtà, nei vicoli e tra gli abitanti del quartiere. Dopo molto tempo, per la puntata di «Cose nostre» è tornato a passeggiare a Forcella, da cui era costretto a tenersi lontano per l’incolumità propria e dei conoscenti.
Dall’inchiesta di Raiuno è emerso il ritratto senza filtri di un quartiere pieno di contraddizioni, dove la camorra ha agito a lungo come un «para Stato», risolvendo le grane spesso trascurate dalle Istituzioni e lasciando al contempo una scia di sangue, violenza e criminalità impressionante.
Il programma, ben scritto e ben girato, è firmato da Emilia Brandi, insieme a Giovanna Ciorciolini e Tommaso Franchini, la regia è di Andrea Doretti.