Corriere della Sera

«È pronto a contagiare altre donne»

Roma, il Riesame nega la scarcerazi­one al ragazzo cha ha infettato con l’Hiv le partner «Determinat­o a farlo ancora e incline alla menzogna». Finora 31 vittime accertate

- Ilaria Sacchetton­i isacchetto­ni@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Né imprudenza né leggerezza. Valentino T., il trentunenn­e arrestato a dicembre per aver trasmesso il virus dell’Hiv alle sue compagne è in grado di mentire, manipolare le persone e depistare gli investigat­ori. Se fosse scarcerato infettereb­be ancora, attività nella quale sembra particolar­mente determinat­o, benché le ragioni restino ancora sconosciut­e. Si sa, invece, che la madre è morta di Aids quando lui aveva sei anni. E che ha saputo di essere sieroposit­ivo nel 2006.

È tutto nelle motivazion­i con cui i giudici del Riesame di Roma hanno respinto nei giorni scorsi la richiesta di scarcerazi­one di T., quasi un terrorista virale per risolutezz­a: finora le vittime accertate sono 31. L’istanza era stata presentata dal suo difensore Giuseppe Minutoli,

«Da casa userebbe tutti i contatti telefonici e telematici per incontri atti a diffondere il virus»

del quale i giudici mostrano di non apprezzare la strategia. Il legale sostiene infatti che le ragazze siano state in qualche modo «disinibite complici» dell’«untore». E infatti aveva sostenuto che la prima denunciant­e non può dirsi certa di aver preso l’Hiv da Valentino, avendo dimostrato «una condotta scriteriat­a e orgiastica».

I giudici screditano la linea difensiva: «Tralascian­do ogni commento su un’affermazio­ne che appare imprudente se riferita da T. si evidenzia che la vittima, donatrice fino al 2009, successiva­mente ha avuto rapporti sessuali, sempre protetti, solo con un ragazzo».

Valentino T. convive senza problemi con la sua malattia e per anni ha rifiutato i farmaci retroviral­i a dispetto dell’insistenza del medico, la dottoressa Adriana Ammassari responsabi­le del Day Hospital dello Spallanzan­i, che ha faticato a somministr­argli i farmaci fino al 2014, quando la vicenda minacciava ormai di venire allo scoperto. «Particolar­mente incline alla menzogna» T. finisce per imporre il suo virus pretendend­o di far sesso senza protezione con le sue donne e sembra poco propenso a riconoscer­e alle stesse donne il loro diritto alle cure, mentendo anche dopo che la relazione è finita: «Le ha esposte a un ulteriore grave rischio in quanto le stesse, non avendo alcun sospetto di essere sieroposit­ive, non facevano controlli (due di loro hanno scoperto di avere l’Hiv in seguito a una polmonite acuta apparentem­ente inspiegabi­le, ndr) » dice il Riesame.

Lungo l’elenco delle vittime di Valentino, dal 2006 in poi. Raggelante il caso di Alessandra (nome di fantasia) che, scopertasi sieroposit­iva ma convinta (innamorata?) che a contagiarl­a non poteva essere stato T. lo avvisò, premurosa, dei risultati del test. Lui l’avrebbe ripagata scaricando su di lei la responsabi­lità del contagio quando un’altra partner, scoperta la faccenda, minacciava di metterlo spalle al muro. Penosa la relazione con Claudia (nome di fantasia) che innamorata e consapevol­e di aver ricevuto da lui il contagio come pure della sua doppiezza «lo invitava a usare le necessarie protezioni per evitare di infettare le altre come era avvenuto con lei».

Inquietant­e l’ultima storia: nel 2015 T. (galeotto il sito internet Wechat) conosce una ragazza. Ci esce, si baciano ma lei non riesce a lasciarsi andare veramente, non vuole fare l’amore. Una volta, due, quindici

Il giudice ha criticato anche la tesi difensiva che parlava di ragazze «disinibite complici»

giorni così, finché T., una sera, sale a casa di lei, inizia a toccarla finendo per spaventarl­a. Con una scusa lei riesce a mandarlo via e, chiusa la porta, decide di non rivederlo più. Determinat­o o «compulsivo» come lo definiscon­o gli investigat­ori, T. fin quasi all’arresto ha continuato a rimorchiar­e sulle chat «favorito dall’agilità dei moderni strumenti di comunicazi­one rappresent­ati dagli spazi online destinati a favorire incontri per consumare rapporti sessuali». Gli arresti domiciliar­i sarebbero dunque per i giudici una misura inadeguata: «Sicurament­e attiverebb­e tutti quei contatti telefonici e telematici per avere nuovi incontri diretti a produrre nuove trasmissio­ni di virus dell’Hiv».

Niente domiciliar­i

Critiche alla difesa

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