Avvelenato con il polonio «Putin disse sì, probabilmente»
L’eliminazione col polonio dell’ex agente del Kgb compiuta «probabilmente» su ordine del Cremlino Il governo britannico convoca l’ambasciatore russo. La vedova Marina reclama nuove sanzioni
Fu un delitto di mafia e di Stato. Il presidente Putin in persona «probabilmente approvò» l’uccisione di Alexander Litvinenko ( foto). L’ex agente dei servizi segreti di Mosca, poi fuggito e diventato collaboratore dell’intelligence britannica, fu avvelenato con il polonio 210 a Londra nel 2006 perché aveva cominciato a svelare le trame delle bande criminali e le protezioni del Cremlino. Sono le conclusioni della commissione d’inchiesta del governo inglese. Tensioni con Mosca: convocato l’ambasciatore inglese. «Indagine politicizzata.
Un rapporto di 328 pagine che mette in crisi le relazioni fra Regno Unito e Russia. La conclusione è un’accusa pesantissima: « Prendendo in considerazione tutte le prove e le analisi rese disponibili, reputo che l’operazione del Fsb per uccidere il signor Litvinenko fu probabilmente approvata dal signor Patrushev (ex capo del servizio segreto russo dal 1999 al 2008, ndr) e anche dal presidente Putin». Un delitto ordinato dallo Stato, l’ha definito il premier Cameron.
La firma del rapporto è di sir Robert Owen che ha presieduto la commissione d’inchiesta sull’avvelenamento col polonio 210 di Alexander Litvinenko, avvenuto il primo novembre 2006 al Millennium Hotel a Londra. Ex agente del controspionaggio russo, scappato a Londra nel 2000, entrato nella cerchia degli oppositori a Putin e della dissidenza cecena, in contatto con la giornalista Olga Politkovskaya (uccisa pure lei), Litvinenko stava collaborando con gli 007 britannici e spagnoli. Lo hanno eliminato perché a conoscenza delle trame di corruzione fra mafia russa e alti vertici dello Stato e per dare «un segnale» a chi era considerato un nemico di Putin e della sua cerchia.
Due killer: Andrei Lugovoj e Dmitri Kovtun. Uno agente dei servizi segreti. L’altro ex militare. Lugovoj oggi parlamentare alla Duma e premiato come eroe da Putin. Due i mandanti: l’ex direttore del Fsb (erede del Kgb) e soprattutto lo stesso Vladimir Putin. «Certe operazioni non si fanno senza l’approvazione dall’alto» sottolinea Robert Owen.
Fra Londra e Mosca torna la guerra fredda ma non si profila la rottura diplomatica. Il ministero degli Esteri britannico, il Foreign Office, convoca l’ambasciatore Alexander Yakovenko e parla di «indifferenza alla leggi internazionali» da parte russa. «Ciò complicherà le relazioni». Invita Mosca a collaborare «per l’estradizione di Lugovoj» e di assicurare «che simili crimini non siano più commessi». Downing Street rimarca Marina Litvinenko, vedova dell’ex agente segreto Alexander che «un certo tipo di relazione con loro (con la Russia) deve proseguire a causa della crisi siriana, ma ci comporteremo con occhio attento e cuore molto freddo».
Parole che tentano di evitare l’effetto valanga, nonostante la vedova e il figlio di Litvinenko chiedano « sanzioni contro Mosca». Marina Litvinenko si dice «felice» per le conclusioni dell’inchiesta e dell’avvenuto riconoscimento di Putin quale mandante. E insiste affinché siano espulse le spie al servizio del capo di Stato russo. Ma la complicata situazione internazionale impone prudenza, aldilà di ogni protesta ufficiale.
Anche da Mosca si frena. Si proclama innocente, uno dei due killer indicati nel rapporto, Dmitri Kovtun. Il ministero degli Esteri lamenta «la politicizzazione dell’inchiesta» e evidenzia come la gestione di «un caso criminale porti ombre nelle relazioni bilaterali». Putin tace. Interviene un portavoce del Cremlino: «La risposta arriverà attraverso i canali diplomatici». E aggiunge: «Questo rapporto avvelena i nostri rapporti con Londra». Un verbo, avvelena, che suona molto male. La crisi c’è ma nessuno ha voglia di strappi.