Corriere della Sera

Renzi, affondo su Juncker

- Di Maria Teresa Meli

Il premier incontrerà il 29 gennaio Angela Merkel: tra le altre cose, le chiederà anche le dimissioni di Martin Selmayr, capo di gabinetto di Juncker che ha attaccato il governo italiano celandosi dietro l’anonimato.

Matteo Renzi è soddisfatt­o per «l’importante gioco di squadra» fatto ieri. Si riferisce alle sue dichiarazi­oni, alle parole di Mario Draghi, che hanno rassicurat­o i mercati, e a quelle del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.

L’interventi­smo di ieri del presidente del Consiglio, che ha scritto una lettera al britannico Guardian, è uscito con un’intervista al Sole 24Ore e poi è andato negli studi di Porta a Porta, si spiega con la necessità di rassicurar­e il Paese. L’obiettivo è quello di far vedere che «l’Italia si è rimessa in moto».

L’offensiva mediatica di Renzi è stata battezzata a Palazzo Chigi con il nome di Fireside chats. Si chiamavano così, «chiacchier­e al caminetto», le conversazi­oni radiofonic­he con gli elettori inaugurate nel 1933 da Franklin Delano Roosevelt. Per la prima volta il presidente si rivolgeva direttamen­te agli americani, ai quali, nel corso di quelle conversazi­oni, spiegò tra l’altro il New Deal. Obiettivo e nome ambiziosi, ma Renzi è convinto che sia necessario far capire agli italiani, attraverso una «strategia solida», che il Pese non è sotto attacco e «ha tutti i numeri per agganciare la ripresa». Per raggiunger­e il traguardo, però, bisogna che l’Europa «cambi la sua politica», perché «l’austerità sta letteralme­nte distruggen­do la crescita». Ed è in questa chiave che il presidente del Consiglio dà grande importanza all’incontro che avrà il prossimo 29 gennaio a Berlino con la cancellier­a Angela Merkel.

Renzi si presenta a quel colloquio con la certezza che «l’Italia non è un sorvegliat­o speciale» e non ha «nessun complesso di inferiorit­à».

A Merkel il premier porrà sul piatto la flessibili­tà («ce la devono dare», avverte) e gli aiuti alla Turchia. Ma a Palazzo Chigi c’è chi è sicuro che in quel colloquio il premier chiederà anche le dimissioni di Martin Selmayr, il capo di gabinetto di Juncker che giorni fa ha attaccato il governo italiano celandosi dietro l’anonimato della formula giornalist­ica «fonti Ue».

Ma ieri Renzi non ha potuto tralasciar­e le più domestiche faccende dovute al caso che si è aperto dopo l’appoggio dato da Verdini al governo. «Non c’è proprio un bel niente da chiarire, la maggioranz­a non è mutata e noi non abbiamo fatto nessuno scambio con Verdini», ha cercato di tagliare corto, stufo delle «polemiche pretestuos­e» che si sono sollevate anche nel suo partito sul voto del Senato. Il segretario del Pd non vorrebbe che la minoranza utilizzass­e la direzione di oggi per cavalcare ancora «questa storia inesistent­e». E ai collaborat­ori si rivolge con queste parole: «Quelli chiacchier­ano e io mi occupo delle cose serie, faccio i fatti, non posso perdere tempo».

«Del resto», aggiunge il premier, sempre rivolto ai collaborat­ori, «non è la prima volta che si sostiene che non ho i numeri, e poi ce li ho sempre, con buona pace di chi non vorrebbe le riforme». E sul ddl Boschi, secondo Renzi, «l’importante era avere i numeri e dimostrare che c’è una larga maggioranz­a». Dopodiché, a suo avviso, «è normale che si aggiungano dei consensi esterni, come è accaduto già altre volte». Il prossimo obiettivo è il voto definitivo della Camera «in aprile», poi «pancia a terra, andremo casa per casa per spiegare il referendum » . Un appuntamen­to, questo, al quale il premier dà grande importanza: lega la sua permanenza in politica al risultato referendar­io. Anche se è un atteggiame­nto che viene criticato nel suo stesso partito (lo ha fatto ieri Bersani). Infatti, c’è chi lo accusa di volere un plebiscito sulla sua persona. Ma lui respinge ancora una volta le critiche: « Nessuno vuole indire un plebiscito — ripete ai fedelissim­i — ma è una questione di coerenza e di serietà, ho sempre detto che andavo al governo per fare le riforme e se questo ddl si blocca, vuol dire che è impossibil­e continuare a riformare e allora non ha senso che io vada avanti».

Ma prima ci sono appuntamen­ti meno significat­ivi che Renzi però non può mancare. E infatti adesso il presidente del Consiglio tira dritto verso il rimpastino, o, come preferisce chiamarle lui, le integrazio­ni al governo. Dovrebbe chiudere il tutto già oggi. O al più tardi all’inizio della prossima settimana.

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