«Le vostre banche al riparo»
Parla con aria rassicurante: «Le banche italiane sono al sicuro». A dirlo al Corriere è l’economista tedesca Elke König, renana, 62 anni, presidente del Consiglio unico di risoluzione.
Il nuovo palazzo del Consiglio unico di risoluzione dell’unione bancaria sorge nel centro di Bruxelles come una perfetta metafora dell’euro: un grosso investimento per un’architettura moderna e di lusso, ma il cantiere è in ritardo, c’è odore di calcinacci ovunque e nell’atrio si gela non appena il tempo volge al brutto.
È da qui che Elke König, un’economista tedesca dall’aria di una rassicurante zia di campagna, esercita dal primo gennaio un potere immenso. A lei non sembra importare molto che il suo nome e il suo volto non siano famosi, che quasi nessuno nel ceto politico italiano abbia mai sentito parlare di lei e della sua agenzia, o che persino fra gli addetti ai lavori pochi abbiano capito quali leve lei abbia in mano. Come presidente del Consiglio unico di risoluzione Elke König può decidere se e quando un istituto di credito deve passare per il trattamento che hanno già subito Banca Etruria, Marche, Carife e CariChieti: discontinuità societaria e una sforbiciata sui risparmiatori. La sola differenza è che da ora in poi a perdere i loro fondi sarebbero anche gli obbligazionisti ordinari e i correntisti sopra i 100 mila euro, non più solo gli azionisti e i detentori di titoli subordinati.
Renana, 62 anni la settimana prossima, fino al 2014 presidente dell’autorità di mercato tedesca Bafin, Elke König naturalmente non decide da sola quando e quale banca dell’aria euro mandare in risoluzione. Ma quasi. Le delibere si votano a maggioranza in un Consiglio dove oggi siedono, oltre a lei, un finlandese, una olandese, l’italiano Mauro Grande, uno spagnolo e un francese. Ma in caso di parità tre a tre — magari i tre mediterranei contro i tre nordici — il voto della presidente vale doppio. Ed è poi improbabile che la Commissione Ue, chiamata a ratificare, si rifiuti di farlo. Per questo oggi Elke König meriterebbe di vincere il premio per la personalità dal potere più vasto ma disconosciuto nel mondo. E anche in Italia, visto che i giornalisti esteri ormai iniziano a chiederle se inizierà ad applicare i suoi nuovi poteri a parti del sistema bancario a sud delle Alpi.
Sono domande inutili. König non risponderà. Ma tutte le indicazioni in questo palazzo in costruzione dietro la cattedrale di Bruxelles dicono che la presidente è più saggia, meno finanziariamente talebana e più disposta a soluzioni ragionevoli di come la dipingano i detrattori. Nel Consiglio unico di risoluzione oggi non c’è nessuna voglia, né tantomeno alcuna preparazione in corso per «risolvere» Montepaschi o di qualunque altra banca italiana. Giorni fa König stessa ha detto che la sua autorità «non ha casi imminenti per le mani».
Proprio per non dare segnali che potevano essere male interpretati, all’ultimo momento ieri mattina König ha eliminato una frase da un discorso che doveva tenere a Bruxelles: «Sarebbe falso negare che c’è un certo numero di banche che monitoriamo attentamente». Queste parole erano presenti nella versione del discorso distribuita in anticipo, non in quella finale.
Se c’è qualcosa che si spera nel Consiglio di risoluzione, oltre che di avere una sede riscaldata presto, è piuttosto un risultato politico. Serve un accordo fra l’Italia e la Commissione Ue su come lo Stato può aiutare le banche a cedere parte dei 200 miliardi crediti in default che oggi le dissanguano. Ormai in questa nuova agenzia di Bruxelles si fa largo l’idea che anche la Commissione debba venire un po’ incontro all’Italia, anziché pretendere svalutazioni draconiane che distruggerebbero i bilanci di alcune banche. Se si arriva all’intesa, al Consiglio di risoluzione si conta che anche Mps potrebbe gestire e smaltire gradualmente i suoi crediti in default. Senza sussulti, aspettando un compratore.
Ormai è una questione così impellente che mercoledì ne ha parlato anche il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble al telefono con Roma. In Germania, come a Bruxelles, nessuno vuole una crisi bancaria in un Paese del G7 come l’Italia. Scuoterebbe i fragili equilibri dell’euro e i mercati globali.
Se l’incertezza resta è anche perché l’inefficacia del governo nel farsi valere, vista da Bruxelles, è lampante. Non solo per colpa dei decibel alti della politica. Sul piano tecnico l’impegno del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è stato costante, quello del suo direttore generale Vincenzo La Via no. Nessuno in Commissione, o nel gelido palazzo di Elke König, sembra averci mai parlato dei vitali dettagli bancari che potrebbero decidere il futuro del Paese.