Corriere della Sera

La seconda rivolta dei tunisini Stavolta parte dalla città islamista

- Di Francesco Battistini

(Tunisia) «Tenetelo! Si butta!». Il tetto del governator­ato non è alto: abbastanza per vedere la strada intitolata all’indipenden­za gridare a tutti l’indigenza. Ci si sale facile. Dopo tre ore d’attesa sul piazzale — il governator­e che non esce a parlare coi manifestan­ti, i manifestan­ti che non ne possono più di chiacchier­e —, alle 10 del mattino il giovane Hamma Khiari prende la decisione. Va su. Si sporge. Alza un braccio. Si leva la felpa del Barcellona e l’agita come una bandiera: «Lavoro! Libertà! Dignità!». La folla sotto applaude, urla con lui. Molti ridono. Qualcuno però capisce: «Tenetelo! Si butta!». Questione di secondi: in due spuntano dalla cabina dell’elettricit­à, l’afferrano. Hamma scalcia un po’, si calma. Voleva morire come Bouazizi, il protomarti­re che cinque anni fa si diede fuoco e accese le rivoluzion­i arabe. Voleva immolarsi come Ridha Yahyaoui, il laureato disoccupat­o che tre sere fa s’è arrampicat­o su un traliccio dell’alta tensione, è morto folgorato e ha dato una nuova scossa a tutta la Tunisia. Lo portano giù: «I giovani servono vivi!».

Non sarà una seconda rivoluzion­e, quattro giorni che fumano i pneumatici trascinati in strada, la spazzatura dei cassonetti, le auto rovesciate. Due morti, una novantina di feriti. La strada bloccata a Sfax, il governator­ato assalito a Jendouba, barricate e lacrimogen­i a Tozeur, a Mahdia, a Siliana, a Medenine, nel quartiere Kram di Tunisi, anche a Sidi Bouzid dove tutto (e nulla) cominciò nel 2010. Un ragazzo s’incendia a Kebili, ustioni di terzo grado: è uno psicolabil­e, sono certi, però voleva imitare pure lui l’ambulante Bouazizi. « Sembra d’essere tornati al 2010 — scrive il quotidiano Al Shuruk —. Da Bouazizi a Yahyaoui, le ragioni e le modalità si ripetono. Anche i risultati saranno gli stessi?». Mercoledì sera c’è stato pure il fattaccio: un gruppo d’infuriati è uscito da un corteo a Feriana, ha circondato un’auto della polizia, l’ha scossa, l’ha sfasciata, ne ha tirato fuori il povero agente Sufian Bouslimi di 25 anni e l’ha linciato sul posto. «Erano una ventina di salafiti — è sicuro Abassi —, cellule pronte a usare questa protesta». Possibile: Kasserine, una delle regioni più povere della Tunisia, disoccupaz­ione al 70%, è ai piedi del monte Chambi dove s’addestrano molti dei jihadisti pronti a partire per la Libia o la Siria. I famosi 6mila foreign fighters tunisini, secondo la cifra da record mondiale che dà il governo. O i 19mila, secondo quella che danno le intelligen­ce: «Seguite le orme dei vostri fratelli di Parigi e rovesciate i governi apostati di Tunisia e Marocco! — esorta l’ultimo audio dell’Isis — Conosciamo la vigliacche­ria della polizia tunisina! Potete fare due volte meglio dei vostri fratelli di Francia!».

Se le pance sono vuote, si fa la coda per mangiare nel paradiso dei martiri. E la famosa società civile? Un’economia paralizzat­a, una classe politica bollita hanno ammutolito i blogger che fecero la Rivoluzion­e dei Gelsomini: molti se ne sono andati o han fatto carriera. Una settimana fa, alla festa sulla Bourghiba per i cinque anni dalla caduta di Ben Ali, non se n’è visto uno. «Mai avrei creduto di ritrovarmi al governo un mix di vecchi riciclati sostenuti da un po’ di Fratelli musulmani», è deluso il saggista Hatem Nafti: vantarsi delle prime elezioni libere, della miglior Costituzio­ne araba, della più riuscita delle transizion­i non basta più. «La gente ora vuole più solo un po’ più di soldi», dice il vecchio presidente Beji Caid Essebsi. Così facile, così impossibil­e. Un anno fa il suo nome l’ abbreviava­no tutti: «Bce! Bce!», neanche fosse la più ricca delle banche europee. Un po’ ci contavano. «M’ammazzerei di lavoro — c’è scritto su un cartello davanti al governator­ato di Kesserine —, se ne avessi uno per vivere».

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