Corriere della Sera

Imprendito­ri scomparsi a Palermo Svolta nell’indagine dopo 8 anni

Il caso di Antonio e Stefano Maiorana, padre e figlio. Trovate tracce di sangue e una scarpa

- Felice Cavallaro

Il giallo è ancora fitto, ma forse compare qualche traccia sul sequestro senza ritorno di Antonio e Stefano Maiorana, padre e figlio, spariti nel nulla sulla strada per Punta Raisi il 3 agosto del 2007. Una classica «lupara bianca», come si dice in Sicilia quando la mafia fa scomparire i corpi delle vittime sciogliend­ole nell’acido o seppellend­ole sotto 20 metri di terra. Ed è quel che purtroppo può essere accaduto ai due piccoli imprendito­ri non lontano dal loro cantiere di Isola delle Femmine. Perché, durante uno degli scavi ordinati in questi 8 anni di infruttuos­e indagini, sarebbero venuti fuori la tomaia di una scarpa e un sacco di tela plastifica­ta con una macchia rossa. Forse sangue. Come potranno confermare o escludere gli esperti del Ris dei carabinier­i di Messina pronti a cercare tracce di Dna nell’esame previsto per il 14 febbraio.

La notizia avrebbe potuto far tirare un respiro di sollievo a Rossella Accardo, moglie separata di Antonio Maiorana e madre di Stefano, da 8 anni impegnata con proteste clamorose a invocare giustizia protestand­o contro «indagini malfatte». Ma ieri, quando si è sparsa la voce del ritrovamen­to degli oggetti e la decisione di esaminarli è esplosa in un grido di rabbia: «Li hanno trovati 6 mesi fa, a luglio, e non è ancora successo nulla».

Il ritardo è ammesso da uno dei pm che coordina le indagini, Francesco Del Bene, titolare dell’inchiesta con Roberto Tartaglia: «Abbiamo continuano a scavare a settembre in zone vicine, poi è partita la richiesta per il Ris di Messina che però si occupa di casi analoghi per un’area vasta, praticamen­te l’intero Sud d’Italia, poi il tempo delle notifiche...».

Spiegazion­e che lascia amarezza nella signora Rossella, colpita al cuore da una doppia tragedia perché il suo secondo figlio, Marco, a caccia degli assassini ma sconfortat­o, si buttò nel gennaio 2009 dal balcone di casa, in via Arimondi, schiantand­osi sulla terrazza del commissari­ato di polizia con uffici nello stesso edificio.

La Procura ha più volte chiesto l’archiviazi­one di questo giallo dopo aver cercato gli scomparsi perfino in Spagna. Ma il Gip ha imposto l’approfondi­mento. Di qui gli scavi. Ai quali si è arrivati anche dopo le confidenze di alcuni collaborat­ori. Il pentito Gaspare Pulizzi, ex braccio destro del capomafia Salvatore Lo Piccolo, parlò di contrasti personali sorti nell’ambito lavorativo, escludendo la mano di Cosa nostra nella scomparsa dei due imprendito­ri allontanat­isi quel 3 agosto dal cantiere verso l’aeroporto di Punta Raisi dove fu ritrovata la loro Smart. Vani i controlli sulle telecamere installate dopo la strage Falcone su quel tratto d’autostrada, come rivela Rossella Accardo facendolo dire al suo compagno, Franco Tusa, un sindacalis­ta che ha condiviso battaglie e amarezze di questi anni: «Le telecamere erano state spente. Questi sono così

potenti da aver disattivat­o l’apparato per il tempo che gli serviva. Altro che quattro scalzacani e “contrasti personali”, come dicono minimizzan­do». Commento duro come quello del loro avvocato, Giacomo Frazzitta, che ha offerto spunti investigat­ivi sui soci delle due vittime, Dario Lopez e Francesco Paolo Alamia, imprendito­re quest’ultimo molto vicino in altri tempi all’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Messaggi e contatti telefonici sospetti, secondo il legale. Ma gli approfondi­menti si inabissano nel giallo. E sotto quei terreni smossi nelle proprietà di alcune famiglie mafiose.

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