Corriere della Sera

Le sorelle denunciano Pietro Maso: chiede ancora denaro

«È il comportame­nto che precedette l’assassinio dei genitori». Ipotizzato il reato di estorsione

- Andrea Pasqualett­o

E basta ripescare istantanee di un tempo ormai lontanissi­mo, prima del giorno in cui tutto cambiò.

Era dieci anni fa, l’11 agosto del 2006. Una giornata afosa uguale a mille altre nella quiete di Sarezzo, nel Bresciano. Fu l’ultima per Hina Saleem, 20 anni e uno stile di vita decisament­e lontano da quello tenuto dalla maggior parte delle ragazze della sua età nel suo Paese d’origine, il Pakistan. Suo padre Mohammed la uccise a coltellate e la seppellì nel giardino di casa con la complicità di due parenti. «Perché voleva vivere e vestire all’occidental­e», si disse, «per motivi religiosi», «perché lei rifiutò di andare in Pakistan a sposare uno sconosciut­o». Le cronache raccontaro­no che fu sgozzata e seppellita con la testa rivolta alla Mecca. E quella ragazza che non viveva più in famiglia, che girava sempre in jeans e ombelico scoperto, che non aveva nessun vincolo di religione, diventò un simbolo, emblema della liberazion­e In casa Bushra Begun, la madre di Hina nella casa di Lumezzane (Brescia) dove vive attualment­e. Il marito della donna è ancora in carcere. La figlia, vincendo la resistenza di chi la voleva rimandare in Pakistan è stata sepolta nel cimitero di Brescia

Camicia aperta, capelli curati, abbronzatu­ra d’inverno e quell’aria di sfida. Pietro Maso era così ieri ed è così oggi con venticinqu­e anni di più e un velo di tristezza negli occhi dovuto forse al carcere e all’età. «Lo hanno notato anche le due sorelle maggiori, Nadia e Laura — dice l’avvocato Agostino Rigoli che le assiste da sempre —. Hanno intravisto nei suoi comportame­nti un ritorno al passato, un dejà vu. Faceva così anche prima di uccidere i genitori». Non è solo una questione d’immagine, naturalmen­te. Le sorelle, che trovarono nel tempo la forza di perdonare a Maso l’atroce delitto femminile dalla prigionia dei precetti islamici.

Sua madre Bushra è convinta che non sia così. Chiede aiuto ai suoi figli per tradurre bene quel che vuole dire: «Mi creda, mia figlia è diventata il simb o l o d i u n a s t o r i a d i integralis­mo che non è mai esistita. Mio marito è sempre stato un uomo buono e un padre esemplare, mai una volta ci ha obbligato a fare qualcosa. Quel giorno ha perso la testa in un impeto di rabbia, Hina era una ragazzina bravissima ma era finita in cattive compagnie e avevamo cercato di farglielo capire tante volte. In quel periodo ci aiutandolo nel percorso di recupero, hanno depositato una clamorosa denuncia alla procura di Verona, come anticipato dal Corriere del Veneto. «Estorsione — precisa lo stesso legale —. Pietro avrebbe chiesto più volte e molto insistente­mente del denaro, ricadendo in quel suo vizio che caratteriz­zò l’adolescenz­a, culminata nell’assassinio».

Montecchia di Crosara, 17 aprile 1991, Antonio Maso e Rosa Tessari furono massacrati a sprangate da Pietro e i suoi tre amici. Movente? L’eredità. Ventidue anni di carcere, un percorso di fede accompagna­to da monsignor Guido Todeschini, chiedeva continuame­nte soldi e finché abbiamo potuto l’abbiamo aiutata. Quel giorno è stata colpa della rabbia...». E il corpo rivolto alla Mecca e seppellito in giardino? «Non c’entra la religione» scuote la testa lei. «È stato solo panico. Noi eravamo tutti in Pakistan, Mohammed voleva prendere tempo solo fino al nostro ritorno, voleva aspettarci per raccontarc­i tutto e andare a costituirs­i, come poi ha fatto».

I giudici della Cassazione hanno deciso nel 2010: 30 anni per Mohammed, padre che agì «non già su ragioni o consuetudi­ne religiose o culturali, lettere e colloqui con due Papi e un pentimento profondo: «Ero il male, ora prego » . Cosa sta succedendo dunque a Maso? Dov’è finito l’uomo nuovo e redento? Chi è Ieri e oggi Pietro Maso durante il processo (a sinistra) e oggi (foto da «Chi») o chi sono innanzitut­to le vittime di questa estorsione denunciata dalle sorelle che sembra fare a pugni con il pieno recupero certificat­o anche dai magistrati? La risposta non è univoca. «Le sorelle hanno mandato una lettera-esposto dicendo che il fratello continua a chiedere soldi. Le vittime sono loro», ha dichiarato il procurator­e di Verona Mario Giulio Schinaia che sulla vicenda ha dovuto aprire un’indagine per tentata estorsione. «Non è così — garantisce l’avvocato di Laura e Nadia —. L’estorsione è contro un terzo che non è un loro parente». Situazione grottesca. «Le sorelle sono parti lese, anche nella vita», ha rilanciato il procurator­e. Al di là della querelle fra il magistrato e l’avvocato, rimane il fatto di un Maso che sembra tornato nel vecchio vortice mentale. «Si chiama disturbo bipolare della personalit­à, certificat­o da Vittorino Andreoli, non si guarisce», insiste il legale delle sorelle. «Se lo metti con un prete diventa prete, se lo metti con un velista diventa velista, se lo metti con un estorsore diventa estorsore», conclude Marco De Giorgio, ex difensore di Maso. Chi frequenta oggi Pietro Maso?

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