Nuovi orari, merchandising, concerti Il rilancio di Brera, «museo dei baci »
Ha intitolato la sua presentazione «I cento giorni», in riferimento a quelli da lui trascorsi a Milano e a Napoleone, che scelse Brera come cuore culturale del Regno d’Italia. E la narrativa dell’anfitrione James Bradburne, nuovo direttore anglo-canadese di «tutti i sei istituti» che convivono nel Palazzo milanese, è un’inarrestabile ricorso al mito. Il «mito di Brera», un «brand da rilanciare», perché se Roma è grande bellezza donata dagli dei, a Milano il bello è frutto del lavoro che si specchia «nel cortile di Brera», un luogo che nell’immaginario bradburniano ( quasi bradburyano) è una specie di santuario di Apollo a Delfi.
Il ministro Franceschini sa che il risultato della sua Riforma (quella dei venti direttori, 50% foreigners) si gioca in gran parte qui. Perché è ovvio che agli Uffizi i turisti andranno sempre e che il Colosseo vivrà fino alla fine del mondo. Nella Milano del dopo Expo, invece, si apre la battaglia per vedere se la riforma avrà solo fatto arrabbiare le sovrintendenze diventate da «trine» a «una» (Archeologia, belle arti e paesaggio), con lavoratori impegnati nel volantinaggio contro il cambiamento, oppure se aver sganciato 20 musei, e prossimamente 10 siti, dalle sovrintendenze porterà alla «valorizzazione». Perché, come dice Bradburne, l’«Italia è world leader in tutela, ma non in valorizzazione» (dopo quelli dei sovrintendenti Lissner e Pereira alla Scala, il suo è il terzo accento straniero che accende i cuori meneghini).
Le polveri con cui il lieutenant Bradburne carica i cannoni sono quelle del richiamo all’identità, la chiamata alle armi della città — e uno immagina di rivedere Piero Manzoni al bar Giamaica quando Bradburne dice: «Sono qui gli artisti
del domani». Più che alle armi, però, la sua è una chiamata al ballo, perché si annunciano serate danzanti nel cortile «che tutti i milanesi conoscono», con in regalo alle signore una « rosa Brera » , un’ibridazione studiata dall’orto botanico per rendere più emotiva la partecipazione a un museo «davanti ai cui quadri ci si può baciare».
Citando Franco Russoli e l’estetologo Nelson Goodman, Bradburne dice che «un direttore di museo è un buon giardiniere, che fa crescere le persone come fiori, e buon attore». Difficile che sotto la sua
gestione gli studenti dell’Accademia se ne vadano via. Bisogna migliorare qui con «qualcosa di rivoluzionario», declama con ironia: «Panchine, cestini, illuminazione, nuove portinerie, caffè, wi-fi, segnaletiche per ritrovare la visione di Napoleone di Palazzo delle Arti e delle Scienze». E nuove didascalie, perché lui, che ha fatto un dottorato sulle didascalie, le vuole cambiare, forse affidarle a degli scrittori.
Cronoprogramma intenso: un viale delle scienze, aprire nel 2018 Palazzo Citterio con le collezioni Jesi e Vitali , Grande Brera «non come progetto edidi
lizio, ma come azione visionaria», riallestimenti di tutte le sale con accostamenti emozionali, no a grandi mostre perché prendono troppe risorse, nessun prestito dei capolavori per i prossimi tre anni, percorso di visita che coinvolgerà la Biblioteca Braidense, divise Trussardi, programmi per bambini con «meno di 18 mesi», merchandising con giraffa tratta dalla Predica di San Marco di Bellini e biglietto a 10 euro validi tre mesi in accordo con gli Amici di Brera, «così uno ci porta la zia».
Se Renzi lo sentisse, Franceschini sarebbe a rischio. Altre proposte? «Se fossi ministro lancerei il caffè sospeso dell’arte: 10 centesimi in più ogni caffè per finanziare i musei». E se ha dimenticato qualcosa, lo aggiunge Franceschini: «Presto un decreto per allungare gli orari dei musei. Bradburne potrà tenere aperta Brera il giovedì sera. E questo perché dal 2013 abbiamo interrotto la regressione delle risorse».
Sogni? Forse, dall’Osservatorio astronomico del Palazzo si vedrà spunterà all’orizzonte una stella chiamata Brera. Lo speriamo.