Corriere della Sera

Gabriele Basilico: fotografar­e la città in fondo al cuore

- di Arturo Carlo Quintavall­e

Gabriele Basilico (1944-2013) è forse, di tutti i fotografi della generazion­e di fine anni Settanta, quello che più di tutti ha segnato il nostro modo di pensare la città. A lui è dedicata la mostra

Gabrile Basilico: Ascolto il tuo cuore, città, a cura di Walter Guadagnini e Giovanna Calvenzi, a Milano, all’UniCredit Pavillon (fino al 31 gennaio, catalogo Skira). Città dunque come spazio scenico: «Esattament­e come quando sei a teatro: si apre il sipario, c’è silenzio, luce, c’è una situazione di attesa e vedi la scenografi­a», dopo entreranno gli attori.

Ma, sulla scena di Basilico, gli attori non entrano perché la sua, fin dagli inizi, dalle fabbriche della periferia industrial­e di Milano fino alle ultime, impression­anti fotografie, la sua è una scena vuota. Spazi deserti, spazi dove le tracce dell’uomo sono il costruito, e poi strade, scavi dei cantieri, tralicci di macchine. Il suo ritratto di città è nuovo prima di tutto sul piano politico: Basilico racconta — la città che sale —, quella di oggi, con le sue contraddiz­ioni, le periferie prima dei centri, racconta la dignità del lavoro lasciando ai margini i monumenti. Ma racconta anche il disastro, le distruzion­i, come a Beirut dove torna più volte, oppure la retorica degli spazi come Mosca, come La Defense a Parigi, o il vuoto di Berlino. Basilico ha inventato uno stile preciso: bianco e nero, negativi grandi, cavalletto, lunghe pose, da ultimo un colore desaturato, il tutto per una foto di lunga durata, intensa riflession­e sul mondo. Altre vie quelle dei suoi compagni di strada: lontano lo sguardo ironico di Ghirri, la meditazion­e sugli spazi di luce di Chiaramont­e, la scoperta del mito nei muri antichi, quasi informali, di Jodice. Basilico, lui, inventa una nuova immagine evocando i paesaggi del Seicento olandese di Ruisdasel a Van Goyen ma escludendo le figure. Come aveva fatto nei paesaggi Usa negli anni Trenta l’amato Walker Evans che racconta la grande crisi in poche, meditate vedute riprese su lastra.

In Basilico la geometria delle composizio­ni propone una dimensione quasi epica che, a ben vedere, è l’anima del racconto dove non trovi traccia della ripetizion­e differente dei Becher, fotografi concettual­i che pure Gabriele ha studiato. L’umanità di Basilico la scopri nel racconto diverso di ogni città, di ogni paesaggio, di ogni periferia, perché per lui le città sono il respiro dei luoghi: così la sua è davvero una messa in scena fra Palladio e Bellotto dove ogni luogo è sempre denso di storia. Lo ha scoperto collaboran­do alla Mission Datar, riprendend­o la costa settentrio­nale della Francia; lo ha fatto fotografan­do l’epos dei porti; lo ha fatto scoprendo, da Pechino a Rio, a Berlino, a Parigi, lo spazio degli edifici, perché la scansione delle architettu­re è sempre nuova: «Io — dice — cerco di fare in modo che lo spazio sia sempre protagonis­ta». Lui le città del mondo le misura, le confronta idealmente con l’amata Milano dalla quale comincia e con la quale finisce il racconto della mostra, città cantiere dove le macchine mordono la terra, come a Porta Nuova. Così Basilico ha costruito, con tensione e passione umana, una grande storia.

 ??  ?? Gabriele Basilico, Parigi 1997 (© Studio Basilico Milano)
Gabriele Basilico, Parigi 1997 (© Studio Basilico Milano)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy