INTERVENTI E REPLICHE
Esami universitari senza possibilità di appelli successivi
Sul Corriere del 20 gennaio, Claudia Voltattorni si interroga sulla prassi tutta italiana degli studenti universitari (possono rifiutare il voto agli esami per ripresentarsi, nella speranza di ottenerne uno migliore, a un appello successivo). Finalmente si comincia a pensare a qualcosa che possa snellire l’università. Desidero condividere la mia esperienza. Dopo il Convitto nazionale di Roma, mi sono iscritta a settembre scorso alla Columbia University di New York, i cui corsi sono articolati in due sessioni per anno. Nella settimana prima di Natale ho sostenuto tutti i relativi esami non perché sia particolarmente brava, ma perché non è proprio concepibile fare altrimenti. In primavera farò gli esami della seconda sessione e così via fino al 21 maggio del 2019 (ebbene sì... si conosce la data esatta!), quando — entro i 4 anni di corso previsti — «dovrò» laurearmi in Financial Economics. Ove qualche studente qui pensi di fallire qualche esame, non ci sarà bisogno che nessuno gli suggerisca di cambiare strada: sarebbe ovvio che starebbe sprecando tempo e (molto) denaro. Quasi tutti gli studenti arrivano alla fine, anche se i ritmi sono molto duri (a dicembre — sotto esame — per trovare un buon posto si va di solito prima dell’alba in biblioteca e lo si lascia a notte fonda). Mia sorella è all’ultimo anno della Columbia e si laureerà a 23 anni a maggio di quest’anno, avendo fatto, prima di me, lo stesso percorso. Già da tempo una importante banca d’affari le ha proposto (e lei ha accettato) un ben remunerato lavoro «full time» a Londra a partire da luglio prossimo, due mesi dopo la fine dell’università. Credo che anche queste siano considerazioni che potrebbero incoraggiare l’opportunità di «svecchiare» l’università italiana.
Sofia Profita, sofia@profita.it Nuove tecnologie e prospettive di lavoro
A proposito della lettera sulle nuove tecnologie ( Corriere, 16 gennaio) che contribuiscono sempre di più a fare diminuire i posti di lavoro, ricordo una illuminante risposta (e in questo caso molto appropriata ) che diede l’indimenticabile Indro Montanelli a un lettore preoccupato dell’avanzare dell’automazione che già da allora nelle industrie riduceva l’opera dell’uomo. Quando iniziarono a circolare le prime automobili, rispose Montanelli, i maniscalchi incominciarono a chiudere bottega, ma il loro posto lo presero i gommisti, giustappunto per riparare gli pneumatici dei veicoli. Quindi, perché disperare? In futuro chissà quanti nuovi mestieri sostituiranno quelli che ora, a causa delle irrefrenabili nuove tecnologie, sono diventati purtroppo inutili.
Giovanni Papandrea
giovanni.papandrea@libero.it