La nascita di Canale 5 vista da Freccero e Sanguineti
Li conosco bene quei due, da tanto tempo. Quei due sono Tatti Sanguineti e Carlo Freccero. Si sono ritrovati a parlare di tv (e dire che da giovani la snobbavano, prima meravigliosa contraddizione) in un salotto di Iris, la rete cinefila di Mediaset (mercoledì, 23,25. Continua…). Li conosco bene quei due, e vi assicuro che dal vivo sono meglio. In video, si sa, uno è portato a enfatizzare, a recitare (a Carlo ora piace il ruolo del profeta di sventure), ad accentuare (Tatti sembra un vecchio frate, custode di una misteriosa cineteca ricevuta in eredità da Guglielmo da Baskerville). Parlavano della nascita di Canale 5, ma un giorno dovrebbero parlare del loro arrivo a Milano, a metà degli anni 70, periodo su cui sono simpaticamente reticenti.
Canale 5, dicevo. A rivedere oggi le immagini dell’inaugurazione di TeleMilano (1978), con l’editore Berlusconi che mette in discussione il know how dei tecnici Rai («lavorano in modo diverso da come lavoriamo noi») e si augura di avere presto la diretta, a rivedere le immagini di quel memorabile esordio si prova una grande tenerezza.
Era una tv di famiglia (molto più della Rai), era una tv dai dichiarati gusti provinciali, era una tv di semplici fatta per i più semplici. Una grande intuizione, bisogna ammetterlo. E Carlo c’era: dapprima come esperto di cinema e poi come dirigente (seconda meravigliosa contraddizione: da giovane, Carlo era — ed è tuttora — il più ideologico, il barricadiero). Li conosco bene quei due, e quando a Freccero sfugge un termine savonese («bigusolla», probabilmente da bigolo e per esteso a significare qualcosa di storto), Sanguineti s’illumina. Perché lui, idealmente, non si è mai mosso da Savona, anche se ha cercato di fare nido in qualunque ufficio si trovasse a lavorare. Dal racconto dei due si rafforza l’idea che nei prodromi di Canale 5 non ci fosse l’americanizzazione della tv italiana (come si è sempre creduto) ma, se possibile, un processo di iper-italianizzazione della nostra tv.