Corriere della Sera

Ma il Vaticano evita il muro contro muro

- Di Massimo Franco

Non è strano che il Papa abbia invitato a non fare confusione tra «la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione». Semmai, è singolare la sorpresa con la quale sono state accolte le parole dette ieri da Francesco durante l’incontro con il Tribunale della Sacra Rota. A una settimana dalla manifestaz­ione del Family Day, il suo intervento è stato considerat­o a favore degli organizzat­ori. Eppure non poteva essere che così. In Vaticano la legge che sta prendendo corpo in Parlamento e sarà discussa in Senato a partire dal 28 gennaio è vista come una forzatura. Una misura contro la quale non alzare barricate né lanciare anatemi, perché i vertici dell’episcopato hanno accettato mentalment­e le unioni civili tra omosessual­i.

Il contorno del provvedime­nto, però, soprattutt­o per i margini di ambiguità che lascia in materia di adozione dei bambini, è visto come frutto di un’operazione ideologica. E, per quanto la Chiesa, intesa come ecclesiast­ici, abbia cercato di evitare che una manifestaz­ione di piazza potesse assumere il carattere dello scontro, alla fine ha dovuto «seguire». È come se la base cattolica avesse interpreta­to la riforma voluta dal governo, e definita ieri «irrinviabi­le» da Matteo Renzi, come una sorta di provocazio­ne para referendar­ia. Ed ha risposto con una scelta di piazza che prefigura due campi contrappos­ti. L’avversario non è tanto quello della mobilitazi­one in cento piazze che organizzan­o per oggi Arcigay, ArciLesbic­a, Agedo, Famiglie Arcobaleno e Mit. La contropart­e è il Parlamento, dove il premier vuole far approvare un emendament­o che faccia decadere subito tutti quelli contro la legge «firmata» da Monica Cirinnà.

L’adesione al Family Day di una conferenza episcopale regionale dopo l’altra racconta come le gerarchie cattoliche siano state trainate a assecondar­e l’iniziativa. E come il Papa abbia voluto offrire un’imprimatur discreto ma convinto a una folla della quale conosce le intenzioni e le pulsioni: anche a costo di ascoltare parole

Le ragioni Costringer­e l’idea della famiglia in schemi troppo integralis­ti contraddir­ebbe i suoi stessi insegnamen­ti

d’ordine difensive, dure, e che non riflettono la sua pedagogia inclusiva e la sua idea della Chiesa. Proprio ieri, salutando in un messaggio i partecipan­ti alla Cinquantes­ima giornata mondiale della comunicazi­one, Francesco ha invitato a esprimersi con generosità «anche nei riguardi di chi pensa o agisce diversamen­te».

Si tratta di un accenno che rimanda alle parole dette in tema di famiglia verso «quanti per libera scelta o per infelici circostanz­e della vita vivono in uno stato oggettivo di errore». Le parole sono nette e insieme problemati­che. Lasciano capire perché il Papa non voglia e non possa tenere la Chiesa a distanza dal Family Day; e, al tempo stesso, perché preferisca che sia il laicato cattolico a guidare la manifestaz­ione. Pesano il passato delle battaglie referendar­ie perdute su divorzio e aborto; il presente di una situazione politica avvelenata, nella quale Papa e vescovi rischiano seriamente di essere strumental­izzati; e una concezione della famiglia e dei valori cattolici, che il pontefice argentino forse vorrebbe meno «all’italiana».

Gli stendardi delle delegazion­i di regioni come Lombardia e Veneto, che hanno annunciato la presenza al Family Day, saranno guidate da esponenti della Lega Nord: rispettiva­mente Roberto Maroni e Luca Zaia. La destra di Giorgia Meloni sostiene che le parole di Francesco dovrebbero essere «di monito al Parlamento». E il sindaco di Bologna Virginio Merola, del Pd, tradisce una punta di freddezza verso l’arcivescov­o della città, monsignor Matteo Zuppi, scelto da Bergoglio, il quale ha detto, all’unisono col presidente della Cei, Angelo Bagnasco, che la legge sulle unioni civili non è una priorità. Insomma, il tentativo delle opposizion­i a Renzi di usare il Family Day per attaccare Palazzo Chigi è evidente.

Altrettant­o chiaro è che al Vaticano di Francesco un’operazione strumental­e di questo tipo non piace. Per due motivi. Il primo è che l’attuale Papa, forse più ancora dei predecesso­ri, non nasconde il fastidio per le ingerenze ecclesiast­iche nella politica. Ritiene che una delle ragioni per le quali la Chiesa in Italia avrebbe perso credibilit­à è stata un’eccessiva contiguità col potere. Ma la seconda ragione, la più importante dal punto di vista culturale, è che costringer­e l’immagine della famiglia dentro schemi troppo integralis­ti contraddic­e gli insegnamen­ti e gli obiettivi del pontefice latinoamer­icano. Un «no» troppo gridato, da muro contro muro, a quanti il Papa definisce «in uno stato oggettivo di errore», può aprire la strada a altri rifiuti, più pericolosi.

La famiglia-fortezza promettere­bbe di trasformar­si nel baluardo della difesa dei valori cristiani anche contro gli immigrati; e dunque di contribuir­e ad una lettura «autarchica», blindata e potenzialm­ente xenofoba del cattolices­imo. È questa la seconda fase che un Family Day declinato in modo integralis­ta potrebbe aprire. Il Papa dei «ponti», il nemico giurato dei muri e delle barriere, si ritrovereb­be a dover governare un mondo cattolico italiano e europeo che dalla protezione della «famiglia cristiana» scivola verso quella dell’ «immigrazio­ne cristiana» e anti islamica. E pazienza se in una deriva del genere pesano soprattutt­o gli errori e le forzature del governo e dei suoi avversari. Il risultato sarebbe comunque quello di una regression­e.

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