«I toni aspri possono salvare questa Europa»
Cambio di rotta Meno austerità e più flessibilità: ha ragione Matteo Renzi L’Italia può svolgere un ruolo da protagonista se saprà costruire le alleanze necessarie Niente polemiche sterili, è importante evitare la tendenza all’isolamento
L’ Unione europea attraversa uno dei suoi momenti più difficili. Le conquiste che ci ha regalato in decenni di pace e stabilità sembrano aver perso ogni capacità attrattiva, sepolte sotto le macerie della crisi. Ma se l’Ue cerca il responsabile di questo stato di cose, non ha che da guardarsi allo specchio. Se c’è antieuropeismo, la colpa è in buona misura dell’Europa stessa, delle politiche economiche e sociali seguite in questi anni. Delle scelte che hanno dimostrato tutte le loro carenze al tempo della recente crisi greca: quando ci si è accontentati di non cacciare il Paese dall’eurozona, ma non si è stati capaci di modificare i parametri del cieco rigorismo che aveva condotto Atene sull’orlo del burrone.
Sono più che comprensibili, dunque, i toni aspri del dibattito sull’Unione. Non è un problema di galateo. Il punto decisivo è l’obiettivo che si prefiggono queste polemiche. La destra populista e nazionalista, che il progetto europeo l’ha sempre avversato, non fa mistero di voler cogliere questa occasione per smantellare l’intera costruzione. Ma la polemica può avere invece ben altra ambizione: portare l’Unione europea fuori dalla crisi facendole cambiare rotta economica, rotta sociale, rotta istituzionale. L’Unione, non un singolo Paese. È un’illusione ottica pensare che gli interessi nazionali si tutelino contro l’Europa. Forse lo scontro con Bruxelles in questa fase può essere utile, nei diversi Stati, a galvanizzare il proprio elettorato, ma è una forma di short-termism, cioè dell’incapacità di agire guardando lontano piuttosto che alla prima scadenza di voto nazionale. Nel mondo globalizzato nessuno può in buona fede credere che i singoli Stati-nazione europei possano reggere, ciascuno per suo conto, alla competizione coi giganti dell’economia e della politica. Se ognuno pensa a coltivare il proprio orticello, perde di vista il campo più complessivo. Le diatribe tra Stati impediscono di vedere la grande questione, che è quella di tornare a produrre crescita per tutti.
Ha ragione il Presidente del Consiglio quando reclama il definitivo abbandono delle politiche di austerità. Non si tratta soltanto di strappare qualche decimo di flessibilità in più per l’Italia, ma di indurre l’intera Unione a mutare direzione. Il nostro Paese può farlo, a patto di saper costruire le alleanze necessarie per un’operazione di questa portata: siamo la seconda potenza industriale dell’area, siamo fondatori e autorevoli membri dell’Ue. Se evitiamo la tentazione dell’isolamento possiamo prendere la guida dei processi di cambiamento e concorrere all’indispensabile virata verso un’Europa che metta a fondamento delle sue politiche il «pilastro sociale»: come chiede anche la Dichiarazione sottoscritta a settembre a Montecitorio dai Presidenti di quattro Camere (di Italia, Francia, Germania e Lussemburgo) e che già è arrivata a dieci adesioni. Un’iniziativa che prende di mira non solo le politiche rigoriste, ma anche l’architettura istituzionale dell’Unione: perché l’attuale assetto concentra tutto il potere nelle mani dei governi, svuota di significato le rappresentanze elette dai cittadini, mina alle fondamenta il senso stesso del progetto europeo come grande costruzione democratica.
È soltanto così che l’Europa può sperare di tornare credibile. Le polemiche possono persino rivelarsi salutari, se ci costringeranno a prendere atto che la vecchia Unione è al capolinea. Urge ripartire, cambiando strada. Magari imboccando quella per Ventotene, isola «madre» dell’europeismo. Dove arriverà a fine agosto una carovana di giovani federalisti proveniente da Montecitorio per andare a ragionare, nel nome del passato più glorioso — Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann — del futuro che l’Europa, una diversa Europa, può ancora darci.
Presidente della Camera
Troppo rigorismo Se c’è così tanto antieuropeismo la colpa è anche delle politiche seguite in questi anni, con scelte che hanno dimostrato carenze: ad esempio nella recente crisi greca che aveva condotto Atene sul burrone