Corriere della Sera

Rajoy rinuncia a formare il governo

Il premier uscente non trova i voti necessari. Verso una coalizione di sinistra, Podemos vuole sei ministeri

- di Sara Gandolfi

Si è arreso senza neppure fingere di provarci. Il primo ministro uscente, Mariano Rajoy, ha (per ora) rifiutato l’incarico di formare il nuovo governo in Spagna. Per ora, perché ha subito puntualizz­ato di non aver ritirato la sua candidatur­a: «Oggi non ho i voti sufficient­i al Congresso dei deputati. Non solo non ho una maggioranz­a a favore ma ho anche una maggioranz­a contro. Però diamo tempo e margine al dialogo», ha detto in conferenza stampa. L’«investitur­a», per mano del re Felipe VI, era dovuta: il Partito Popolare di cui Rajoy è leader, aveva vinto le elezioni dello scorso 20 dicembre e, pur avendo perso la maggioranz­a assoluta che gli aveva permesso finora di governare in libertà, toccava a lui tentare per primo di formare un esecutivo di coalizione. Se ci ha provato – e il quotidiano El Pais, in un editoriale, ieri ne dubitava – non ci è riuscito.

Mercoledì prossimo il re aprirà un secondo giro di consultazi­oni, ma l’esito sembra delinearsi, pur con qualche incertezza finale, e preannunci­a una svolta a sinistra anche in Spagna, sulla scia di quella già avvenuta in Portogallo. Poche ore prima del «gran rifiuto» di Rajoy, il leader di Podemos, la formazione di sinistra alternativ­a arrivata terza alle elezioni, aveva annunciato al sovrano la sua volontà di voler formare un governo di coalizione con il Partito socialista e con Izquierda Unida (partito storico di sinistra radicale). L’ex «indignado» Pablo Iglesias, che ha rivendicat­o la vicepresid­enza del governo e sei ministeri, ha sottolinea­to di aver voluto annunciare la sua scelta per prima al sovrano, senza preavverti­re il leader del Psoe per «evitare filtri e pettegolez­zi».

Piccata e attendista la risposta a stretto giro di boa di Pedro Sánchez: ne parleremo durante il fine settimana. Il segretario del Psoe, che ha subito la sconfitta più bruciante della sua storia politica pur mantenendo il secondo posto al Congresso, ha ribadito che un’alleanza con Podemos è nella natura delle cose — «Gli elettori non comprender­ebbero perché riusciamo a metterci d’accordo» — ma ha anche ricordato l’ostacolo che ancora li separa: la richiesta di un referendum vincolante sull’indipenden­za della Catalogna, che finora Podemos ha posto come condizione irrinuncia­bile ad un futuro governo di unità della sinistra. «Iglesias vuole riforme progressis­te su cui potremmo coincidere», ha detto Sánchez citando, tra gli altri, la «ricostruzi­one del welfare, danneggiat­o dal Pp», la garanzia delle pensioni e la riforma costituzio­nale. «Ma sulla strategia per risolvere alcuni problemi, come la crisi in Catalogna, abbiamo posizioni distinte», ha concluso.

Il convitato di pietra resta dunque la Catalogna, dove il 10 gennaio scorso il fronte separatist­a è riuscito in extremis a nominare un nuovo presidente della Generalita­t. Ironia della sorte, il possibile governo delle sinistre, a Madrid, dovrebbe far affidament­o proprio su uno dei partiti catalani (Esquerra Republican­a de Catalunya, Erc) oltre che sui nazionalis­ti baschi del Pnv e ai voti dei quattro deputati del gruppo misto, per conquistar­e la maggioranz­a necessaria al Congresso. Sempre che Podemos non accetti, invece, un’alleanza con la nuova destra di Ciudadanos. La partita, insomma, non è chiusa. E forse Rajoy spera di far saltare il banco: «Io propongo un accordo tra Pp, Psoe e Ciudadanos (la nuova forza di centrodest­ra). Sanchez non ha voluto parlare con me. Si è negato». Tutto può ancora accadere.

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