Corriere della Sera

Nannicini e gli altri, stretta sul rimpasto Il caso del voto Cinque Stelle a Matteoli

Tensioni tra la sinistra e il capo del governo. Cuperlo: su Verdini nessuna risposta

- Dino Martirano

ROMA Già lunedì, o mercoledì 27 dopo il voto al Senato sulla mozione di sfiducia, il premier Matteo Renzi potrebbe dare il via al rimpasto di governo. Il presidente del Consiglio ha anticipato che il professore bocconiano Tommaso Nannicini, già insediato a Palazzo Chigi come capo della «cabina di regia» sui temi economici, assumerà il grado di sottosegre­tario di Stato presso la presidenza del Consiglio con l’«obiettivo di arrivare a un Jobs act dei nuovi lavori autonomi con una serie di agevolazio­ni per cui diventa più facile fare il proprio lavoro». Nannicini, che poi è già il braccio destro del premier per i dossier più delicati dell’economia, si occuperà a largo raggio anche di altre questioni e a Palazzo Chigi già si sussurra che avrà a disposizio­ne una struttura molto solida, di tutto rilievo, da fare invidia al Mef.

L’altra partita si gioca al ministero dello Sviluppo economico dove due poltrone di viceminist­ro sono rimaste vuote: quella che era del sottosegre­tario Claudio De Vincenti (gestisce più di 100 tavoli di crisi industrial­i) andrebbe all’ex sindacalis­ta Teresa Bellanova (oggi sottosegre­tario al Lavoro), la seconda lasciata da Carlo Calenda, da poco spedito a Bruxelles come super ambasciato­re presso la Ue, fa gola perché allunga la sua azione sul Commercio estero. Al Mef, il sottosegre­tario Luigi Casero (Ncd), che ha la delicata delega tributaria, rimarrebbe al suo posto mentre la carica di vice al Mise potrebbe andare al sottosegre­tario all’Economia, Enrico Zanetti (Sc).

I centristi avranno il ministero degli Affari regionali (vacante da tempo) con un pensiero rivolto ai Fondi struttural­i europei: è in pole position Enrico Costa che lascerebbe la sua poltrona di vice alla Giustizia al senatore Gabriele Albertini o alla collega Federica Chiavaroli. Il rimpasto arriva quando ancora infuriano le polemiche sull’assegnazio­ne delle presidenze e delle vicepresid­enze delle commission­i al Senato andate anche ai verdiniani premiati per aver votato la riforma costituzio­nale. Oltre ai tre senatori di Ala con il rango di vicepresid­enti (Langella, Eva Longo e Compagnone) e ai segretari di commission­e targati Verdini (Gambaro, Amoruso, Repetti), fa molto discutere il caso dell’ex ministro forzista Altero Matteoli che è stato confermato alla presidenza della commission­e Trasporti e che presto potrebbe passare da Forza Italia ad Ala. Matteoli, rinviato a giudizio (corruzione) per l’affaire Mose, ha avuto i voti di Forza Italia, del verdiniano Barani, della Lega, dei grillini, di Sel, di due senatori del Pd e forse quello del centrista Gentile. L’«operazione Matteoli» è riuscita alle opposizion­i «per fare un dispetto al Pd», che ha prima mandato allo sbaraglio il «Papa straniero» Fravezzi (Autonomie) e poi ha accettato la «sconfitta» senza fare una piega. Grillini e Sel, dunque, hanno rotto con disinvoltu­ra il tabù del voto concesso a un senatore colpito da un rinvio a giudizio. Così il Pd ha rinunciato a una presidenza, cui miravano Ranucci ed Esposito, e Verdini ora ha un «amico toscano» in più, che presto potrebbe essere il 19° senatore di Ala o il 20°, se sarà più lesto il fittiano Lionello Pagnoncell­i. O il 21° se si farà vivo il lucano, ex pd, Salvatore Margiotta.

Nel Pd c’è malumore dopo la direzione di ieri: «Ho posto domande su dove si vuole portare il Pd e non ho trovato risposte», azzarda Gianni Cuperlo. Accusa Renzi di avere «squassato» il Pd con l’apertura a Verdini e Alfano, una strategia che «nessuno ha discusso». Renzi sceglie di non replicare, gli basta avere detto più volte che Verdini «non entra in maggioranz­a». E Orfini fa sapere che ci sarà l’Assemblea nazionale il 20 febbraio.

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