Nuove accuse a Montante «Fece un patto con la mafia»
Perquisita la sede di Confindustria Sicilia. La difesa: resta un presidio di legalità
Da paladino della lotta alle cosche a complice dei mafiosi, con i quali avrebbe siglato un patto: lavori alle imprese imposte da loro in cambio di appoggi e protezione da estorsioni e attentati. È l’accusa mossa dalla Procura di Caltanissetta ad Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e perquisito ieri a casa, in ufficio e nelle sedi delle aziende di cui è titolare o socio.
Un atto che conferma l’esistenza di un’inchiesta in pieno
svolgimento, ma al tempo stesso consente ai suoi difensori di passare al contrattacco: «Avendo finalmente letto il capo d’imputazione — spiegano gli avvocati Nino Caleca e Marcello Montalbano — il nostro assistito ribadisce la più assoluta estraneità all’ipotesi delittuosa. Daremo ogni contributo all’indagine che ipotizza un concorso in favore di personaggi mafiosi che lo stesso Montante ha contribuito a colpire duramente sia sotto il profilo della libertà personale che dell’illecito arricchimento. Personaggi, quindi, dai quali è possibile aspettarsi ogni forma di reazione calunniosa».
Il nuovo capitolo dell’antimafia dilaniata da conflitti e ambiguità è contenuto nell’avviso di garanzia recapitato ieri mattina al leader siciliano di Confindustria. Secondo la ricostruzione del pubblici ministeri Stefano Luciano, Lia Sava e Gabriele Paci, l’indagato avrebbe «messo la propria attività di imprenditore a disposizione del sodalizio mafioso e in particolare di Paolino e Vincenzo Arnone, appartenenti alla “famiglia” di Serradifalco», e più in generale dell’intero clan. Dal 1990 in poi. Ai boss Montante avrebbe consentito di «ottenere l’affidamento di lavori e commesse a loro personale vantaggio, a scapito di altri imprenditori, nonché assunzioni dagli stessi segnalate, ricavandone in cambio il sostegno per il conseguimento di incarichi all’interno di enti e associazioni di categoria», oltre alla «garanzia dello svolgimento della sua attività imprenditoriale in condizioni di tranquillità», senza il timore del racket o del pizzo, «anche in relazione a lavori da svolgersi in territori governati da altre famiglie mafiose».
Per un imprenditore che ha fatto della battaglia pubblica per la legalità una bandiera sono supposizioni pesanti da sopportare, che alimentano le divisioni all’interno degli ambienti antimafia, già scossi da altri casi che hanno messo in dubbio la sincerità di molti proclami. Su Montante la polemica è in corso da tempo, tra sospetti e controsospetti, e ancora c’è chi continua a sostenerlo, convito della sua correttezza, e chi invece ne ha preso le distante. Più o meno rumorosamente.
A sostegno dell’accusa ci sono le dichiarazioni di quattro pentiti della famiglia di Serradifalco. Da ultimo s’è aggiunto un testimone (peraltro apparso un po’ reticente, tanto da essere a sua volta inquisito per false dichiarazioni) il quale ha riferito di una strana richiesta rivoltagli da Montante: cambiare in banconote di taglio inferiore a 500 euro una somma «che si aggirava tra i 100.000 e i 300.000 euro». Circostanza che si aggiunge, secondo gli inquirenti, ad altri indizi: due vecchi procedimenti del 2000 e del 2006 a carico dello stesso Montante (evidentemente archiviati, giacché l’interessato non ne sapeva niente) sulla «gestione opaca di alcune società allo stesso riconducibili», e le dichiarazioni del pentito Salvatore Di Francesco sulla disponibilità di «riserve di denaro da destinare a soggetti organici alla criminalità di stampo mafioso». Come se l’imprenditore avesse costituito dei «fondi neri» dai quali attingere «per il raggiungimento di scopi funzionali ai propri interessi».
Per verificare questa ipotesi il pm ha ordinato la perquisizione di 10 sedi di cinque società, 13
appartamenti che risultano intestati a Montante (molti affittati) e gli uffici di Confindustria regionale, Camera di commercio e Unioncamere. Alla ricerca di documenti contabili e ogni altro elemento da cui si possa desumere «la creazione di risorse economiche occulte» da utilizzare «in tutto o in parte» in favore di esponenti mafiosi.
Dopo l’iniziativa della Procura, il vertice di Confindustria Sicilia ha voluto «rinnovare la fiducia e la vicinanza all’uomo e all’imprenditore Antonello Montante», mentre gli avvocati Caleca e Montalbano insistono nel disegnare una figura del loro assistito opposta a quella descritta nell’atto d’accusa: «Da quasi vent’anni si è dedicato, in costante rapporto con la magistratura e le istituzioni, al radicamento nel mondo dell’imprenditoria dei valori e della cultura della legalità. La comprovata professionalità dei titolari dell’indagine è garanzia di celerità affinché venga cancellata al più presto ogni incredibile ombra sull’operato di Montante».
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