Corriere della Sera

UNA LEGGE CHE RICONOSCA I DIRITTI DELLA PERSONA

- Di Luigi Manconi

Caro direttore, nel suo editoriale del 15 gennaio lei scriveva che, nell’ordinament­o italiano, la possibilit­à di adottare il figlio biologico del partner esiste già per le coppie eterosessu­ali: dunque «sarebbe molto complicato negarlo alle altre coppie». Tanto più « se al centro si mettono i bambini, i loro legami, i loro affetti e il loro benessere». Mi sembra, questo, un buon punto di partenza per arrivare all’approvazio­ne di una legge che sia ispirata, allo stesso tempo, da criteri di razionalit­à e di sensibilit­à. Emerge da subito, così, che quando si parla di unioni civili, ci si deve riferire al riconoscim­ento di un essenziale diritto della persona. Ovvero, in primo luogo, all’imperativo costituzio­nale di rimuovere gli ostacoli che compromett­ono la pienezza della parità di condizione tra i cittadini a prescinder­e dai loro orientamen­ti sessuali. Lo ha ben chiarito la Corte europea dei diritti dell’uomo che, nel luglio scorso, ha condannato l’Italia per la mancata garanzia del diritto alla vita familiare delle unioni non matrimonia­li, alle quali va riconosciu­to uno statuto giuridico non discrimina­torio rispetto a quello delle coppie coniugate. In altre parole, la legge deve assicurare il superament­o della condizione di disparità a svantaggio dei minori che crescono nell’ambito di famiglie fondate sulla convivenza di persone dello stesso sesso. Ovviamente nessun automatism­o nell’adozione: vale la disciplina generale. Sarà sempre un giudice, cioè, a decidere caso per caso della idoneità del richiedent­e a diventare genitore adottivo, e sempre e comunque nella prospettiv­a del superiore interesse del minore su cui si basa l’intera normativa sulle adozioni. In proposito, oggi possiamo disporre di una sentenza illuminant­e, che dà risposte quanto mai persuasive a dubbi e a perplessit­à. La Corte di appello di Roma ha confermato recentemen­te la sentenza emessa dal Tribunale per i minorenni che aveva disposto l’adozione, da parte di una donna, della figlia naturale della sua convivente. La sentenza ha inteso, con ciò, valorizzar­e, ai fini della continuità

Uguaglianz­a Assicurare la parità di condizione per tutti a prescinder­e dagli orientamen­ti sessuali

affettiva, il rapporto instaurato tra la minore e la partner della madre, senza alcuna intenzione di «rispondere, in forza del legame di coppia sussistent­e, all’esigenza di riconoscim­ento di una bigenitori­alità non ancora consentita dalla legge». Competenza, quest’ultima, che, correttame­nte viene rimandata al legislator­e. Infine, la Corte ha ribadito che «rivestire di contenuto giuridico il rapporto di fatto esistente tra la bambina e l’adottante realizza il preminente interesse della minore». Le motivazion­i addotte dal Tribunale e dalla Corte d’appello appaiono davvero esemplari di una elaborazio­ne giuridica che tiene ben fermi alcuni punti cruciali. In primo luogo, la tutela del soggetto più vulnerabil­e (il minore, appunto) e, poi, l’indicazion­e degli strumenti necessari a superare uno stato di sperequazi­one. Questo restituisc­e all’intera materia la sua sostanza più autentica. Come detto, stiamo parlando di diritti civili e di diritti sociali, della parità tra i cittadini e delle condizioni di legge che rendono effettiva quella parità. Classifica­re ciò come «questione eticamente sensibile » finisce col produrre confusione di parole e di idee. È ovvio che una simile materia chiami in causa visioni del mondo, morali private ed etiche pubbliche. E, dunque, interpelli la coscienza di ognuno. Resta il fatto che le politiche in questo campo, qualunque sia l’ispirazion­e che le nutra, devono tener conto del fatto che sono in gioco la vita concreta delle persone: là dove sentimenti e diritti devono incontrars­i e integrarsi.

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