UN POLITICO ITALIANO CHE GUADAGNA CREDIBILITÀ
Continua insistente dalle parti di Palazzo Chigi il tam tam contro Federica Mogherini, cui viene rimproverato di non difendere abbastanza le tesi del governo italiano in nome di un malinteso spirito comunitario in salsa berlinese. Eppure, basta avere solo una vaga idea di come vanno le cose nell’Ue per capire che per contare qualcosa non aveva altra strada. Accolta a Bruxelles con curiosità mista a sufficienza, al termine di una battaglia che aveva lasciato perplessi dato il suo incarico, tanto prestigioso nella forma quanto etereo nella sostanza, si è mossa bene. Non si è lasciata impressionare dal fatto che Juncker le avesse posto accanto un controllore della stazza del suo vice Timmermans. La Baronessa Ashton partecipava di rado alle sedute della Commissione, e questo aveva contribuito a sanzionarne l’irrilevanza: la Mogherini si è fatta un punto d’onore di essere da subito parte attiva dei suoi lavori. Rispetto a Commissari dal curriculum politico di prima grandezza sarebbe potuta apparire fragile, ma la sua conoscenza dei problemi di politica estera le ha permesso di recuperare credibilità.
Se per i Commissari è più facile — anche se improprio — svolgere al buon bisogno il ruolo di guardiano degli interessi nazionali che Matteo Renzi avrebbe voluto per lei, l’Alto Rappresentante o è il punto di fusione fra le diverse posizioni nei rari casi in cui ciò avviene — e di coordinamento obiettivo in quelli più frequenti in cui non è così — o non è. Per potere avere autorità deve, più di ogni altro, essere il più possibile «comunitario», inattaccabile da fumus di dipendenze nazionali. Muovendosi con una buona capacità tecnica, e con savoir faire politico, ha potuto ritagliarsi un piatto dignitoso da un menu decisamente povero. Di più non era probabilmente possibile e, in ogni caso, sarebbe stato tatticamente nostro interesse sottolinearne l’importanza. Mentre invece fioccano i mugugni. Come se, invece che con un politico italiano che si va facendo strada in Europa, si avesse a che fare con un outsider che gioca troppo al «senza patria».