Stirare vale di più
Buttare la spazzatura o preparare la cena non costa la stessa fatica e dunque merita un «punteggio» diverso. Il nuovo modo di dividersi i lavori di casa tra uomini e donne
Ritirare gli abiti in lavanderia, un credito. Fare la spesa al supermercato, due. In cima alla classifica delle fatiche casalinghe, attività più impegnative come preparare la cena (tre) o noiose come lavare e stirare (cinque). Se indici e tabelle ormai promettono di misurare tutto, compresa la felicità, chissà che non si possano valutare — se non con rigore matematico, quantomeno con un minimo di equità — anche le faccende domestiche. Il ménage della coppia 2.0? Algoritmico. A proporre la gamification, il giornalista Steven Leckart che, sul Wall Street Journal, si chiede se «trasformare in gioco i lavori di casa possa migliorare il matrimonio».
Per un mese lui e sua moglie Linda hanno sperimentato la divisione dei compiti, valutati in base al tempo e alla difficoltà. In palio un bonus di 600 dollari, da spartire a seconda del punteggio totalizzato. Risultato: 98.5 il magro risultato di Steven, 313.5 quello di Linda che ha guadagnato poco meno di 500 dollari. Morale: «Sono mortificato — scrive l’autore dell’articolo — ma devo ammettere che, quando sono in viaggio, non riesco a collaborare al 50 per cento. Spero di migliorare anche grazie agli incentivi». Mentre si moltiplicano le app per un approccio ludico (e meritocratico) al riordino, si rafforza un altro principio: lo swapping. Ed ecco che il baratto, dall’economia sostenibile, si applica anche in ambito familiare: non solo per ridurre gli sprechi, ma per un sano avvicendamento. Lista alla mano — chi fa cosa — ci si palleggia lo schema a settimane alterne. Lei lava i pavimenti, lui porta fuori la spazzatura? La volta dopo sarà il contrario.
A lanciare l’idea del gender-swap, lo scambio di genere nei lavori di casa, sull’Huffington Post sono state Ishita Srivastava e Soraya Chemaly assieme alla fondatrice di Everyday Sexism Project, Laura Bates. Con tanto di hashtag su Twitter, #chorechallenge, per tenere vivo il dibattito e raccogliere storie di Cenerentola e Mr. Mom a ruoli invertiti. Ecco alcuni dei cinguetti pubblicati sul social: «Per cambiare la percezione del suo lavoro — annota Miranda Hassell — la mia amica si definisce l’ingegnere di casa, anziché una madre a tempo pieno». E ancora: «Lavatrici e ferri da stiro — sottolinea Simon Bedford — sono i regali più reclamizzati per la festa della mamma». E però, mentre si rafforza l’ipotesi negoziale — divisione dei compiti, alternanza, meccanismo premiale — c’è chi teme la deriva competitiva: ulteriore fattore di stress e inasprimento del conflitto. Non solo. Sul New York Times, qualche tempo fa, lo scrittore Stephen Marche giustificava il divario uomo-donna con «il caso sporcizia». Ovvero: l’indole femminile sarebbe meno tollerante verso cumuli di polvere e stoviglie sudicie dimenticate nel lavandino rispetto a quella maschile. La soluzione? «Semplicemente, fregatevene — suggerisce Marche — . Non rifate mai il letto. Non riparate la recinzione del giardino. Non ridipingete il soffitto. La casa pulita è il segno di una vita devastata. La speranza è caotica: alla fine vivremo tutti in un perfetto squallore egualitario».
Possibile che, tra l’algoritmo e il laissez faire, non esista una terza via? Lorenzo Todesco — sociologo al dipartimento Culture, politiche e società dell’Università di Torino, autore del libro «Quello che gli uomini non fanno» (Carocci, 2013) — ammette che la disuguaglianza nella coppia tra le mura domestiche sia «un rompicapo». Non solo a casa nostra. «La parità — sottolinea l’esperto — non è stata raggiunta nemmeno in nazioni avanzate come Svezia e Danimarca». Eloquenti i dati Istat che descrivono i cambiamenti registrati in Italia nel periodo 1988-2008: «Se le donne hanno diminuito di un’ora al giorno il tempo dedicato ai lavori di casa — ricorda Todesco — , gli uomini lo hanno aumentato solo di 20 minuti: uno l’anno». Su mogli e madri pesa ancora la maggior parte (il 71,3%) degli impegni casalinghi, malgrado nel 2014 l’occupazione femminile abbia raggiunto il 46,7%. Altra considerazione: «Se la donna è la principale fonte di reddito — osserva lo studioso — , in casa continua comunque a lavorare di più. Segno che, in ambito familiare, non si applica il metodo dello scambio e della scelta razionale». Come scardinare
i pregiudizi culturali così radicati nel nostro Paese? «Con politiche efficaci. Penso al congedo di paternità che dovrebbe essere ben pagato, non al 30%. Se l’uomo continua a guadagnare di più, la coppia si fa due conti e finisce per ricadere nei soliti schemi».
Michela Marzano — filosofa, docente all’università René Descartes di Parigi, autrice del libro «Papà, mamma e gender» (Utet, 2015) — ritiene fondamentale cambiare l’approccio educativo. A cominciare dall’istruzione (la forbice maschifemmine, minima tra i 3 e 10 anni, si radicalizza con l’età). «Libri, disegni, vignette — sottolinea Marzano — abbondano di stereotipi. Quando si è cercato di introdurre a scuola ore di pari opportunità, si è gridato all’ideologia. Da un anno siamo impantanati nella polemica gender sì, gender no». Scettica sull’efficacia del gioco a punti, Marzano suggerisce di essere meno interventiste. Il partner svicola? Si trincera dietro la solita scusa «stavo per farlo io»? Invece di supplire subito alle sue mancanze, perché non aspettare che il caos dilaghi? «Se nessuno alza un dito — immagina la filosofa — magari sarà lui a prendere l’iniziativa».
La teoria del caos La filosofa Michela Marzano: il partner fa finta e ignora i suoi compiti? Aspettare che il caos dilaghi e magari cambierà